Autore: basilica

  • Il discernimento

    Il discernimento

    QUARTA settimana di quaresima

    L’itinerario di preghiera proposto dalla Diocesi in questa IV settimana di quaresima ci porta a riflettere sul discernimento, ossia su quel processo interiore che ci permette di giungere alle nostre scelte.

    Discernere non è mai un itinerario semplice: portiamo dentro di noi il dramma di dover decidere sapendo che ogni scelta, piccola o grande, porta conseguenze per sé e per gli altri. Il discernimento porta ciascuno di noi a fare i conti con le nostre resistenze interiori, con le gioie e con le possibili fatiche. In questa settimana facciamo memoria di San Giuseppe, un uomo che ha sperimentato la fatica di fidarsi di Dio che chiede disponibilità, apertura, fiducia, pur rispettando tutta la sua libertà.

    Alla base di ogni discernimento ci sia la fede, la stessa fede del cieco nato del Vangelo della IV domenica di quaresima: vogliamo fidarci di questo Dio anche quando ci chiede di fare cose impossibili o che non comprendiamo immediatamente. Proviamo a mettere come nostro modello Maria con il suo “eccomi” affinché anche noi possiamo trovare la forza e il coraggio di dire “SÌ”.
    In questa settimana vogliamo fermarci a riflettere sulle nostre scelte.

    • Come si formano le nostre scelte?
    • In che modo mettiamo dentro la nostra esperienza di Dio?
      • Riusciamo a fidarci di Lui anche quando tutto sembra venirci contro?
      • Sappiamo cogliere nella nostra vita tutti i piccoli annunci che il Signore ci comunica tra le pieghe delle nostre giornate?
  • Il silenzio

    Il silenzio: la condizione fondamentale per potere ascoltare… la propria anima

    Continuando il tema della preghiera iniziato la scorsa settimana, una delle condizioni fondamentali per potere entrare in una dimensione di dialogo (preghiera) è l’ascolto, ma per quanto ovvio, questo non è possibile senza fare silenzio. La cosa vale sia nei rapporti umani sempre più condizionati dal fare prevalere la propria voce, ma vale anche nei confronti di Dio, dove ci sembra necessario parlare anche nei tempi che pensiamo di dedicargli. Per domandare più che accogliere, per porre a lui tutte le nostre istanze, i nostri pensieri… perché abbiamo perso o forse non abbiamo mai imparato, a fermarci per ascoltare…
    Un noto sacerdote filosofo e teologo italiano, naturalizzato tedesco, Romano Guardini, scrisse che, non volere o non riuscire a rimanere nella dimensione del silenzio, è come volere solamente espirare e mai inspirare. L’uomo che non vuole e non sa tacere è come se volesse solo espirare, quindi senza mai inspirare è destinato alla morte… Quantomeno alla morte spirituale. Il rapporto tra il silenzio intimo e la parola che esce da noi è strettissimo, la parola viene generata dal silenzio. La parola è vera quando è generata dal cuore del silenzio. Quando questo non avviene, la parola è svilita, diminuisce di significato. A volte si può tacere eppure dire molto, cosi come si può parlare molto ma non dire niente… Spesso il parlare molto serve a coprire il vuoto interiore. Abbiamo la necessità, soprattutto in questo tempo che la Chiesa ci propone alla riflessione, di meditare sul perché Dio abbia scelto di farsi uomo, morire e risorgere, mostrandoci quale Amore il Padre abbia verso di noi sue creature. Dobbiamo ri-entrare in noi stessi e accogliere quella parola che può aprirci il cuore ad accogliere lo Spirito di Dio. Il quale non parla nel rombo del tuono ma nel soffio di una brezza leggera… (1Re 19, 12-13). Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta del 13 Giugno 2014, usa queste parole bellissime e chiare per commentare questo passo della Bibbia: «Il Signore non era nel vento, nel terremoto o nel fuoco, ma era in quel sussurro di una brezza leggera: nella pace». O «come dice proprio l’originale, un’espressione bellissima: il Signore era in un filo di silenzio sonoro». In questa frase si racchiude il modo in cui possiamo accoglierlo ed ascoltarlo anche noi: entrare nella grotta del nostro cuore e nel silenzio accogliere la sua pace, il suo sonoro silenzio. Silenzio che non è solo vuoto, l’assenza di rumore, ma la condizione per cui il Signore può parlare al nostro cuore come ha fatto con il profeta Elia. Possa questo tempo che ci conduce alla Pasqua aiutarci a riscoprire il valore del silenzio perché possiamo tornare ad ascoltare in noi quella parola che sola può portare alla pace.
    Fabrizio Zo

  • Giornata dei Missionari Martiri

    Giornata dei Missionari Martiri

    Manifesto-Giornata-Missionari-martiri-2023

    Il 24 marzo 2023 si celebra in tutta la Chiesa italiana la 31esima edizione della GIORNATA DI PREGHIERA E DIGIUNO IN MEMORIA DEI MISSIONARI MARTIRI, appuntamento istituito nel 1993 dal Movimento Giovanile Missionario della direzione nazionale italiana delle Pontificie Opere Missionarie.
    Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani è “Di me sarete testimoni (At 1,8)”, espressione che riprende il tema della Giornata missionaria mondiale dell’ottobre scorso.

    La celebrazione della Giornata dei missionari martiri si colloca nel giorno dell’uccisione di monsignor Oscar Romero, avvenuta il 24 marzo 1980 in El Salvador, e vuole fare memoria del suo impegno a fianco del popolo salvadoregno, oppresso da un regime elitario incurante della sorte dei più poveri e dei lavoratori.

  • “Di me sarete testimoni”

    Suor Maria e suor Lucia hanno donato l’intera vita rispondendo ai bisogni di due popoli, martoriati da guerre, calamità, criminalità e soprusi

    Sono 18 i missionari uccisi nel mondo nel 2022: 12 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 1 seminarista, 1 laico. Nove hanno perso la vita in Africa, otto in America Latina, uno in Asia.

    Due le italiane: suor Maria de Coppi, uccisa in Mozambico, dove aveva trascorso quasi sessant’anni della sua vita, e suor Luisa Dell’Orto, uccisa a Haiti dove si trovava da vent’anni, dopo aver vissuto in Camerun e Madagascar.

    Suor Luisa Dell’Orto, Piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, la mattina di sabato 25 giugno è stata vittima di un’aggressione armata a Port-au-Prince, capitale di Haiti, forse vittima – così si è detto – di un tentativo di rapina. Da vent’anni si occupava soprattutto dei bambini di strada, colonna portante di Kay Chal, “Casa Carlo”, una casa famiglia per bambini di strada in un sobborgo poverissimo di Port-au-Prince. La notizia ha prodotto un fortissimo impatto nella capitale haitiana, dove “soeur Luisa” era molto conosciuta e amata.

    Suor Maria De Coppi, 84 anni, missionaria comboniana in Mozambico dal 1963, è stata uccisa nell’assalto alla missione di Chipene, nell’instabile nord del paese, nella notte tra il 6 e il 7 settembre 2022. Gli assalitori hanno distrutto le strutture della missione, tra cui la chiesa, l’ospedale e la scuola primaria e secondaria. Suor Maria è stata colpita da un proiettile alla testa, morendo all’istante, mentre cercava di raggiungere il dormitorio dove si trovavano le poche studentesse rimaste. La provincia di Nampula, assieme a quella di Cabo Delgado, è vittima dell’instabilità causata dalla presenza di gruppi terroristici che si richiamano allo Stato Islamico. Suor Maria conosceva bene i rischi, ma non ha mai smesso di denunciare le ingiustizie subite dalla popolazione. Mons. Sithembele Sipuka, Presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa meridionale (SACBC), in un messaggio di condoglianze sottolinea che “suor Maria si unisce a tante vite innocenti che sono state brutalmente stroncate… la sua è stata la morte di una martire, perché non ha abbandonato i poveri anche in questi tempi difficili”.

    Ed è proprio questo un punto centrale: è giusto e doveroso ricordare il sacrificio di chi dona la vita, ucciso per il servizio ai più poveri e dimenticati o per il servizio alla verità e alla giustizia, compiuto senza piegarsi ai soprusi. Ma rischia di diventare un ricordo fine a se stesso, se non si ha anche il coraggio di chiedere giustizia e verità, di indagare le cause delle loro uccisioni violente, dovute a un sistema di ingiustizia che miete tante più vittime fra le popolazioni locali, indifese e che non hanno nemmeno i riflettori del mondo a illuminare il loro calvario quotidiano. Faremmo un torto per primi ai missionari e alle missionarie uccisi, se ci limitassimo a celebrare il loro martirio, dimenticando di ricordare le popolazioni che hanno servito e aiutato in vita, impegnandoci fattivamente perché possano vivere in pace e con dignità.

    Giusy Baioni

  • Vita Comune
    Giovani 2023

    Lo stile cristiano del vivere

    Vita Comune Giovani 2023

    Una settimana di vita insieme nella quale approfondire le dimensioni della vita cristiana mettendoci in gioco per scoprire qualcosa di incredibile e inaspettato

    Dal 26 marzo al 1 aprile presso l’Oratorio di San Giorgio

    Se sei interessato iscriviti su Sansone

  • San Giuseppe, l’arte di essere padre

    San Giuseppe, l’arte di essere padre

    Oggi, festa dei papà, riscopriamo la figura del padre terreno di Gesù, modello di virtù umane e religiose, attraverso un capolavoro dell’arte lombarda

    Capita spesso di emozionarsi di fronte all’immagine cara e familiare della Madonna col Bambino. Per questo innumerevoli sono le raffigurazioni di Maria che regge il piccolo Gesù: testimonianza straordinaria del Mistero del Dio che si fa uomo per amore e allo stesso tempo esperienza a tutti comune .

    Giuseppe in tutto questo rischia di rimanere in disparte: presente in ogni Natività, ma come in secondo piano, nell’ombra. Lui che è padre, ma putativo. Lui che deve accettare qualcosa che va al di là dell’umana comprensione. Lui che, in quelle poche pagine dei Vangeli in cui compare, non dice una parola. Obbediente, fiducioso, premuroso.

    Per questo vogliamo proporre una sua immagine artistica particolare, dove per una volta non è Maria a tenere in braccio il Bambino Gesù, a cullarlo, a rimirarlo, ma proprio lui, Giuseppe.

    Nel Museo Diocesano di Milano, è conservato un dipinto di struggente bellezza (raffigurato qui a lato), capolavoro del pittore bolognese Guido Reni.

    Giuseppe è raffigurato in piedi, mentre sorregge il Divino infante, nudo e libero dalle fasce, che giace quieto, come nella mangiatoia di Betlemme. La testolina di Gesù e il profilo del padre putativo si stagliano sullo sfondo di un paesaggio montano, con la diagonale della cresta che separa e unisce cielo e terra, richiamando così la duplice natura del Cristo, vero uomo e vero Dio.

    Ogni singolo dettaglio è sorprendente in questa magnifica tela: il roseo e realistico incarnato del neonato; la resa del panneggio del mantello dell’uomo; il virtuosistico effetto dei ciuffi argentati della barba e dei capelli; fino alla scena della fuga in Egitto, che si scopre inaspettatamente dietro alle spalle di Giuseppe.

    L’opera databile attorno al 1630, può essere considerata la prima di una serie di quadri con san Giuseppe che “culla” il Bambin Gesù, realizzati fino agli ultimi anni e oggi conservati all’Ermitage di San Pietroburgo e in altre collezioni.

    A ben osservare il quadro milanese, tuttavia, si può cogliere come, oltre alla dolcezza della scena, vi sia come una nota malinconica, quasi un fremito di timore. Giuseppe e Gesù, del resto, non si stanno guardando negli occhi. Mentre il Cristo leva gli occhi al cielo, infatti, quelli del padre putativo sembrano fissarsi in un pensiero tutto interiore, come una premonizione: una sensibilità che qui sembra manifestarsi anche in Giuseppe, quasi concentrato sul destino di questo “figlio”, porgendolo inconsciamente alla nostra contemplazione nel gesto dell’offerta sacrificale…

  • Il tunnel del divertimento

    Il tunnel del divertimento

    Nel tentare Gesù, il diavolo lo invita anche a buttarsi dal punto più alto del tempio: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». A parte l’uso distorto di un Salmo, il tentatore invita Gesù a un gesto tanto
    spettacolare quanto inutile. Non sappiamo se l’esperimento sarebbe riuscito: come credere a un menzognero e manipolatore? Ciò che sappiamo è che di fronte ai miracoli più clamorosi di Gesù – guarigioni, moltiplicazioni di pani, acqua trasformata in vino, risurrezioni…– c’era chi giungeva a credere con maggiore forza, chi insisteva nella scelta di non credere, chi se ne andava indifferente.

    E infatti i miracoli di Gesù, come quelli degli apostoli oppure legati alle apparizioni di Maria o alla proclamazione di Santi e Beati, non sono spettacoli per attrarre consenso né prove inconfutabili della fede, ma segni, affinché ciascuno rientri in se stesso e decida quale valore dare alla presenza di Gesù nella sua vita e come orientarla nella direzione dell’amore che Gesù ha insegnato e praticato.

    L’opera diabolica è di bloccare il percorso esclusivamente a ciò che è spettacolare, divertente, superficiale, appariscente, stupefacente (in tutti i sensi!). Stravolti dalle fatiche quotidiane del lavoro, da impegni familiari, dalle paure indotte da malattie e guerre, dalle incognite sul futuro, l’evasione potrebbe diventare il primo desiderio e criterio fondamentale di scelta. D’altra parte nel nostro mondo quasi tutti hanno le possibilità economiche per raggiungere questo risultato. Che alla fine potrebbe esprimersi solo in una gioia sguaiata e ridanciana, con il retrogusto amaro di essere rimasti alla superficie anche di ciò che avrebbe dovuto essere piacevole.

    Certo, molti affrontano responsabilmente i momenti dell’evasione: è giusto andare in vacanza, ascoltare musica, organizzare bei banchetti, giocare a carte, appassionarsi per lo sport ecc. In genere questi hanno già affrontato altrettanto responsabilmente il resto della settimana.

    Preoccupa invece veder idolatrare modelli da paese dei balocchi, dove nulla è serio e tutto viene buttato sul ridere o sul piacere effimero; dove l’apparenza conta più della verità: ci si butta dalla torre, ma ci si schianta al suolo in una vita dove nulla ha senso.

    (Il tunnel del divertimento cita una divertente sigla di Zelig di tanti anni fa).

  • Terza settimana di Quaresima

    Terza settimana di Quaresima

    Vivere da figli

    Si dice spesso che fare il genitore non sia il mestiere più facile del mondo. E probabilmente è vero. Spesso, però, anche vivere da figli non è altrettanto semplice.

    Corriamo il rischio di confondere la nostra posizione, e vivere come schiavi, più che come figli. Spesso riteniamo che siamo oggetto del “destino” o delle scelte che Dio fa per noi. Spesso cadiamo nell’amare i doni che ci vengono consegnati, piuttosto di colui che ce li consegna.

    Ci dimentichiamo che Dio ama la nostra libertà più di ogni cosa al mondo. È un
    padre che vuole essere amato per ciò che è, per ciò che rappresenta nella nostra
    vita. E’ un padre che ci riempie di doni, che sa che spesso e volentieri ci allontaniamo da lui e come figli ingrati pretendiamo che ci vengano esauditi desideri
    senza dare nulla in cambio. “Voi mietete ciò che altri hanno seminato” ci ripete Gesù nel Vangelo.

    È questo può essere il paradigma dell’amore di Dio, amore di padre che si preoccupa costantemente per i propri figli, anche quando sono lontani, e che
    ogni volta che ci allontaniamo da Lui, ci aspetta con trepidazione, con un amore
    viscerale che non conosce confini. Amore di un padre che si dona completamente per i propri figli; padre disposto ad educare, ad ascoltare, a farsi presente in maniera silenziosa e discreta.

    In questa settimana vogliamo meditare sulla preghiera più semplice e importante
    che ci è stata consegnata direttamente da Gesù: una preghiera che inizia proprio
    con l’appellativo di “padre nostro” per indicare la figliolanza che abbiamo tutti grazie a Gesù.

    Vogliamo prenderci qualche minuto nelle nostre giornate per recitare questa preghiera che ci avvicina a Dio più di ogni altra preghiera, lentamente e meditando
    ogni parola che contiene, per comprendere che spesso non è necessario esternare soliloqui, ma basta un semplice “Padre nostro” per sentirci davvero uniti a Lui.