Autore: basilica

  • «Vieni e vedi»

    «Vieni e vedi»

    Comunicare incontrando le persone come e dove sono

    In occasione della 55a Giornata della Comunicazioni Sociali, che si tiene questa domenica 16 maggio, Papa Francesco invia questo messaggio che ci aiuta a vivere da cristiani l’approccio al mondo complesso delle comunicazioni.

    Cari fratelli e sorelle,
    l’invito a “venire e vedere”, che accompagna i primi emozionanti incontri di Gesù con i discepoli, è anche il metodo di ogni autentica comunicazione umana. Per poter raccontare la verità della vita che si fa storia è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto. «Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita», consigliava il Beato Manuel Lozano Garrido* ai suoi colleghi giornalisti. Desidero quindi dedicare il Messaggio, quest’anno, alla chiamata a “venire e vedere”, come suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere limpida e onesta: nella redazione di un giornale come nel mondo del web, nella predicazione ordinaria della Chiesa come nella comunicazione politica o sociale. “Vieni e vedi” è il modo con cui la fede cristiana si è comunicata, a partire da quei primi incontri sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea.

    Consumare le suole delle scarpe

    Pensiamo al grande tema dell’informazione. Voci attente lamentano da tempo il rischio di un appiattimento in “giornali fotocopia” o in notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, “di palazzo”, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più “consumare le suole delle scarpe”, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni. Se non ci apriamo all’incontro, rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi. Ogni strumento è utile e prezioso solo se ci spinge ad andare e vedere cose che altrimenti non sapremmo, se mette in rete conoscenze che altrimenti non circolerebbero, se permette incontri che altrimenti non avverrebbero.

    Quei dettagli di cronaca nel Vangelo

    Ai primi discepoli che vogliono conoscerlo, dopo il battesimo nel fiume Giordano, Gesù risponde: «Venite e vedrete» (Gv 1,39), invitandoli ad abitare la relazione con Lui. Oltre mezzo secolo dopo, quando Giovanni, molto anziano, redige il suo Vangelo, ricorda alcuni dettagli “di cronaca” che rivelano la sua presenza nel luogo e l’impatto che quell’esperienza ha avuto nella sua vita: «Era circa l’ora decima», annota, cioè le quattro del pomeriggio. Il giorno dopo – racconta ancora Giovanni – Filippo comunica a Natanaele l’incontro con il Messia. Il suo amico è scettico: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo non cerca di convincerlo con ragionamenti: «Vieni e vedi», gli dice. Natanaele va e vede, e da quel momento la sua vita cambia. La fede cristiana inizia così. E si comunica così: come una conoscenza diretta, nata dall’esperienza, non per sentito dire. «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito», dice la gente alla Samaritana, dopo che Gesù si era fermato nel loro villaggio. Il “vieni e vedi” è il metodo più semplice per conoscere una realtà, perché per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli, lasciare che la sua testimonianza mi raggiunga.

    Grazie al coraggio di tanti giornalisti

    Anche il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare dove nessuno va. Una curiosità, un’apertura, una passione. Dobbiamo dire grazie al coraggio e all’impegno di tanti professionisti –  giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate. Sarebbe una perdita per l’informazione, per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità.

    Opportunità e insidie nel web

    La rete, con le sue innumerevoli espressioni social, può moltiplicare la capacità di racconto e di condivisione: tanti occhi in più aperti sul mondo, un flusso continuo di immagini e testimonianze. La tecnologia digitale ci dà la possibilità di una informazione di prima mano e tempestiva, a volte molto utile: pensiamo a certe emergenze in occasione delle quali le prime notizie e anche le prime comunicazioni di servizio alle popolazioni viaggiano proprio sul web. È uno strumento formidabile, che ci responsabilizza tutti come utenti e come fruitori. Grazie alla rete abbiamo la possibilità di raccontare ciò che vediamo, ciò che accade sotto i nostri occhi, di condividere testimonianze.
    Ma sono diventati evidenti a tutti, ormai, anche i rischi di una comunicazione social priva di verifiche. Abbiamo appreso già da tempo come le notizie e persino le immagini siano facilmente manipolabili. Tale consapevolezza critica spinge a una maggiore capacità di discernimento e a un più maturo senso di responsabilità, sia quando si diffondono sia quando si ricevono contenuti. Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole. Tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere.

    Nulla sostituisce il vedere di persona

    Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti. L’attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l’efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi. I discepoli non solo ascoltavano le sue parole, lo guardavano parlare.
    In Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto, il Dio invisibile si è lasciato vedere, sentire e toccare, come scrive lo stesso Giovanni (Gv 1,1-3). La parola è efficace solo se si “vede”, solo se ti coinvolge in un’esperienza, in un dialogo. Per questo motivo il “vieni e vedi” era ed è essenziale.
    Pensiamo a quanta eloquenza vuota abbonda anche nel nostro tempo, in ogni ambito della vita pubblica, nel commercio come nella politica. Diceva W. Shakespeare: «Sa parlare all’infinito e non dir nulla». Le parole del drammaturgo inglese valgono anche per noi comunicatori cristiani.
    La buona novella del Vangelo si è diffusa nel mondo grazie a incontri da persona a persona, da cuore a cuore.
    Uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: “Vieni e vedi”, e sono rimaste colpite da un “di più” di umanità che traspariva nello sguardo, nella parola e nei gesti di persone che testimoniavano Gesù Cristo.
    Quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui. Verificavano, vedendolo in azione nei luoghi dove si trovava, quanto vero e fruttuoso per la vita fosse l’annuncio di salvezza di cui era per grazia di Dio portatore. E anche laddove non poteva essere incontrato in persona, il suo modo di vivere in Cristo era testimoniato dai discepoli che inviava.

    «Nelle nostre mani ci sono i libri, nei nostri occhi i fatti», affermava Sant’Agostino, esortando a riscontrare nella realtà il verificarsi delle profezie presenti nelle Sacre Scritture. Così il Vangelo riaccade oggi, ogni qual volta riceviamo la testimonianza limpida di persone la cui vita è stata cambiata dall’incontro con Gesù. Da più di duemila anni è una catena di incontri a comunicare il fascino dell’avventura cristiana.
    La sfida che ci attende è dunque quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono.
    Signore, insegnaci a uscire dai noi stessi,
    e a incamminarci alla ricerca della verità.
    Insegnaci ad andare e vedere, insegnaci ad ascoltare,
    a non coltivare pregiudizi,
    a non trarre conclusioni affrettate.
    Insegnaci ad andare là dove nessuno vuole andare,
    a prenderci il tempo per capire, a porre attenzione
    all’essenziale, a non farci distrarre dal superfluo,
    a distinguere l’apparenza ingannevole dalla verità.
    Donaci la grazia di riconoscere le tue dimore nel mondo e l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto.

  • FESTA DEI POPOLI 2021

    FESTA DEI POPOLI 2021

    La Festa dei popoli, organizzata dai Saveriani in collaborazione con associazioni e volontari, è di grande attualità. Se allarghiamo lo sguardo, oltre Desio, abbiamo a che fare con popoli, culture, lingue, identità diverse. Nelle stazioni, nelle piazze, sui treni, negli ospedali, per strada, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, negli oratori troviamo tutto il mondo.
    Celebrare la Festa dei popoli il 23 maggio 2021, domenica della Pentecoste, è particolarmente significativo. La Pentecoste è celebrazione della bellezza dell’universalità, delle diversità. Il volto di Dio è multiforme, multiculturale, multietnico. Dio parla le nostre lingue. La festa dei popoli è occasione per celebrare la bellezza delle nostre identità, delle nostre diversità con particolare attenzione alla fratellanza universale tra uomini e donne. Occorre avere – come diceva il card. Martini – “sincera simpatia per l’altro, avvicinarlo con fiducia, essere pronti a imparare da chiunque parli con sincerità e onestà intellettuale”.
    Quest’anno, unico evento, sarà la celebrazione dell’Eucaristia, presso i Missionari Saveriani, domenica 23 maggio alle 11,30.

    Don Tonino Bello, un giorno disse: “La pace è finita, andate a messa”. Così ci invitava a prolungare l’Eucaristia fuori della chiesa con persone diverse, con chi non condivide la nostra fede, la nostra cultura, la nostra lingua.

    Padre Emmanuel

  • Accolitato per Cosimo Iodice

    Sabato prossimo, 22 maggio, nella parrocchia di Garbagnate Milanese verrà conferito a Cosimo Iodice, parrocchiano di San Giovanni Battista e prezioso collaboratore nella Comunità Pastorale, il ministero dell’Accolitato, ultima tappa del percorso verso il Diaconato permanente. Partecipiamo alla sua gioia e lo accompagniamo nella preghiera.

  • Fondo San Giuseppe

    Uno spazio capace di ricostruire legami e di aiutare le persone a vedere un futuro concreto.

    Ha scritto il nostro Arcivescovo: “Ciò che rende insopportabile la vita non è la povertà, ma il sentirsi abbandonati”.

    Con questi sentimenti un anno fa, nel pieno della prima emergenza Covid, su iniziativa dell’Arcivescovo Mario Delpini, nasceva il Fondo diocesano San Giuseppe con lo scopo di aiutare quanti, a causa dell’emergenza, hanno drasticamente ridotto il proprio reddito da lavoro.

    • Sino ad oggi sono stati donati al Fondo più di 8 milioni di euro, dei quali più di 5 milioni erogati a 2.454 persone e famiglie della nostra Diocesi. Ai 4 milioni di euro iniziali (offerti in parti uguli dalla Diocesi e dal Comune di Milano) si sono aggiunte donazioni da parte di singoli cittadini (70%) e di imprese (30%), segno di generosità diffusa, e di quella cultura della cura indicata da Papa Francesco, capace di seminare speranza.
    • I beneficiari sono sia italiani che stranieri. Per accedere al Fondo occorre presentare la domanda o attraverso il Centro di Ascolto Caritas o direttamente al Fondo. Va dimostrato di avere subito una sensibile riduzione del reddito familiare dal marzo 2020 e non avere entrate superiori a 400 euro mensili a persona. La richiesta di contributo viene valutata dal consiglio di gestione del Fondo che decide anche l’entità del contributo (variabile tra i 400 e gli 800 euro al mese per 3 mesi), tenendo conto del numero dei componenti della famiglia.
    • Nella nostra Comunità Pastorale desiana sino ad oggi sono state accolte dal Fondo Diocesano 20 domande di contributo e l’importo complessivo erogato ad oggi è di 35mila euro.
    • Quest’anno il Fondo ha consentito di dare un immediato sollievo alle famiglie che hanno perso o ridotto il lavoro. Come ha detto il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, si è rivelato un segno profetico che consente di redistribuire reddito, tra chi ha risorse e chi le cerca, in modo gratuito e aperto e tutti. Inoltre vuole essere uno spazio capace di ricostruire legami tessendo reti di fraternità capaci di aiutare le persone a vedere un futuro concreto.

    Rita Galimberti e Vito Bellofatto

  • “Maratona” di maggio

    “Maratona” di maggio

    Il Rosario nel mese di maggio rimane nella memoria di molti, non necessariamente dei più anziani. Quell’uscita serale appartiene ai ricordi di tanta gente e di tante comunità. La pandemia (e un po’ di disaffezione religiosa?) costringe a ridurre anche questa proposta.

    A ravvivarla ci pensa papa Francesco con la richiesta di valorizzare i santuari mariani sparsi nel mondo in una sorta di “maratona” affinché «tutta la Chiesa possa invocare l’intercessione della Beata Vergine Maria per la fine della pandemia».

    Per ogni giorno del mese un santuario è incaricato di organizzare vari momenti di preghiera, culminanti nella recita del Rosario. A ogni giornata poi è affidata un’intenzione particolare.

    Per esempio domenica 9 maggio è di turno il santuario di Loreto, in Italia, con l’invito a pregare per gli anziani. Così sono coinvolti luoghi famosi come Lourdes, Fatima, Pompei, ma anche Aparecida in Brasile o Luján in Argentina o altri santuari nazionali in Giappone, Algeria, Belgio ecc. E tra le intenzioni troviamo: per gli scienziati e gli istituti di ricerca medica; per le persone sole e coloro che hanno perso la speranza; per le vittime della violenza e della tratta umana. E, nell’ultimo giorno: «per la fine della pandemia e la ripresa della vita sociale e lavorativa».

    La preghiera supera i limiti del tempo e dello spazio: si può pregare sempre e dappertutto. E Maria nel Rosario ci fa conoscere Gesù, la sua vita, i suoi doni. In comunione con il Santo Padre, aderiamo a questa invocazione universale: una preghiera fatta da tutti a favore di tutti.

    don Gianni

  • La devozione mariana e le chiese a Lei dedicate

    La devozione mariana non è soltanto un elemento costante della vita della Chiesa: essa può essere considerata come un punto di osservazione dello spirito ecclesiale, dei suoi sviluppi e delle sue involuzioni.
    Maria, infatti, è l’immagine e il modello della Chiesa.
    Una riflessione di storia generale della Chiesa, sia pure in forma di estrema sintesi, è utile per collocare le espressioni locali della devozione mariana, i santuari, le chiese e le cappelle votive a Lei dedicate. Storia locale e storia generale, infatti, si integrano e si illuminano l’un l’altra.

    Nei secoli iniziali della vita della Chiesa le rarissime testimonianze ci delineano una posizione di Maria nella Chiesa caratterizzata da estrema sobrietà: né chiese dedicate a lei, né feste particolari. Non che ella non sia presente, nella devozione, tra il popolo cristiano. Fin dal II secolo, nelle catacombe romane di Santa Priscilla, compare l’immagine di Maria che, con il bambino, accoglie i Magi.

    All’inizio del IV secolo, ebbe origine una prima forma di “cristianità”, ossia quel complesso sistema di concezione ideale e di organizzazione politica della società che delinea come un tutt’uno il regno terreno – affidato ad un sovrano cristiano – e l’istituzione ecclesiastica, e l’uno e l’altra insieme quale anticipo e inizio del regno di Dio. È una visione per sua natura universale che comprende non soltanto tutta l’umanità storica, bensì anche la comunità dei santi; non solo la terra, ma anche, in anticipo e promessa, il cielo.

    Si evidenzia dunque, uno spazio di mediazione, tra cielo e terra; ed è in questo contesto che va collocato l’intensificarsi della devozione mariana che accompagna e segue la dichiarazione solenne di “Maria madre di Dio” fatta al concilio di Efeso (anno 431). La Vergine – a un tempo creatura umana ma ricolmata dei più grandi favori divini – si staglia come la figura che identifica quel nuovo spazio di connessione fra cielo e terra. Ella si pone come immagine ideale dell’universo cristiano.
    La diffusione del culto mariano è costituita, innanzitutto, dal moltiplicarsi delle feste in suo onore. Tra le prime chiese che iniziano a sorgere – espressione di un cristianesimo ormai assunto a religione pubblica e universale – molte vengono dedicate a Maria. Anche a Roma sorgono le prime basiliche dedicate alla Vergine, prima e più famosa delle quali è quella di Santa Maria Maggiore voluta da Sisto III (V secolo).

    È attraverso il canale monastico che, insieme alla riforma, si diffonde in tutto l’Occidente la devozione mariana. Le prime cattedrali gotiche, edificate in Francia verso la metà del XII secolo, sono dedicate a “Nôtre Dame” (Chartres, Paris, Reims).

    La dedicazione mariana della chiesa-madre (nel senso di edificio) sottolinea e rafforza il già richiamato e tradizionale legame tra Maria e la Chiesa: la comunità ecclesiale si fa Corpo di Cristo in quel luogo dove si raccoglie e attinge alla vita del Figlio di Dio, offerto al mondo da Maria.

    Dagli Ordini religiosi la devozione mariana trapassa e si diffonde tra le popolazioni. Ancor più, il diretto contatto con la gente, esplicitamente ricercato dai Mendicanti, e attuato soprattutto con la predicazione, il ministero del confessionale, l’istituzione di confraternite, l’apertura di chiese frequentatissime in ogni città, moltiplica in proporzione tale influsso sulla religiosità popolare.

    Ed ecco apparire nuove pratiche devozionali. Prima di esse, per la diffusione e la fortuna durevole di cui godrà, è certamente il rosario. Esso nasce in ambiente monastico, con l’intento di sostituire la lettura dei 150 salmi mediante la recita delle 150 Ave Maria; il nome stesso con cui tale pratica viene inizialmente propagandata è quello di Psalterium Beatae Mariae Virginis.

    È mio personale convincimento che nessuno possa giungere ad
    un’intima unione con Nostro Signore e ad una perfetta fedeltà allo Spirito Santo, senza una grandissima unione con la
    Vergine santa ed una grande dipendenza dal suo soccorso.

    San Luigi Maria Grignion de Montfort
    da Trattato della Vera Devozione a Maria

    Quella fra Tre e Cinquecento è un’epoca ricchissima di raffigurazioni mariane, da quelle di sommo livello artistico, dove più forte è la tendenza ad esaltare nella bellezza la figura femminile di Maria, a quelle più modeste, significativamente presenti in ogni angolo di vita quotidiana, dalla casa alla campagna, dai palazzi pubblici alle strade.

    Localmente sono numerosissime le raffigurazioni di Maria nelle chiese, ma anche sulle case o in cappelle rurali. Tra le più frequenti, quelle legate appunto all’umanità di Gesù: dunque la madre con il bambino sulle braccia o al seno, l’Addolorata con in grembo il Cristo morto. Si intuisce come, in queste raffigurazioni, si potesse esprimere ed accrescere al meglio la devozione popolare, unendo alla venerazione della Vergine e alla contemplazione dei suoi misteri la consolante possibilità di rispecchiarsi con la propria stentata vita, dalla culla alla tomba, nella sua vita e in quella di suo Figlio.

  • La chiesa della Madonna Pellegrina

    La chiesa della Madonna Pellegrina

    La storia della chiesa della Madonna Pellegrina inizia nel 1950, quando in una sera di aprile, il signor Giuseppe Carpanelli, nello svoltare in auto verso il cortile del suo mobilificio, venne investito con l’auto dal tram, però senza gravi conseguenze.

    Resosi conto dello scampato pericolo, il signor Carpanelli fece un voto di ringraziamento alla Madonna, proponendosi di far erigere una cappella a lei dedicata in zona, anche a beneficio del rione, che andava sempre più popolandosi.

    Superando alcune difficoltà il 29 giugno 1951 venne posta la prima pietra della chiesetta, che fu ultimata e benedetta il 14 settembre 1952 dal prevosto mons. Giovanni Bandera.

    La statua lignea della Madonna venne donata dall’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, mentre il pavimento marmoreo provenne dal Tempio ebraico di Milano, a quell’epoca in rifacimento.

    La dedicazione alla Madonna Pellegrina è da mettere in relazione al pellegrinaggio di una statua mariana, in atto nel dopoguerra in tutta la Diocesi, promosso dal cardinale Ildefonso Schuster.

    Le attività pastorali furono assolte dai padri missionari Saveriani che vi si avvicendarono fino al 1965, quando venne fondata la nuova parrocchia dei santi Pietro e Paolo. Con la costruzione della nuova chiesa dedicata ai santi Pietro e Paolo, la chiesetta assunse un ruolo secondario: in essa si celebrò per diversi anni la sola Messa festiva, oltre ai riti mariani del mese di maggio e a diversi matrimoni.

    Nel 1991 la chiesa fu oggetto di un piccolo restauro, nel 2002 vene rifatto il tetto, mentre tra il 2003 e il 2004, per iniziativa del parroco don Antonio Niada, grazie alla generosità dei parrocchiani, venne operato un radicale rifacimento interno, su progetto dell’arch. Sr. Michelangela Ballan, che conferì alla chiesa l’attuale assetto.

    Tra gli arredi è da menzionare la pala del vecchio altare, raffigurante i quattro Evangelisti (situata nel transetto di destra), il quadro ‘la Madonna della Tenerezza’, ex-voto dell’artista desiano Alessandro Savelli (transetto di sinistra) e un crocefisso ligneo dello scultore ligure Ceccardi posto sulla parte di fondo. Sul presbiterio sono presenti un artistico leggio, mentre sopra il tabernacolo insiste un delicato motivo pittorico, eseguito dall’artista Daniela Benedini.

    La chiesa della Madonna Pellegrina che quest’anno festeggia il 70° di Fondazione, costituisce una tappa dell’itinerario spirituale “Cammino di Sant’Agostino” .

    Giuseppe Monga

  • Cappella della Madonna dei boschi

    La “Cappella dei Boschi” (1630) è legata, purtroppo, a uno dei tanti periodi tristi della nostra città. Nei secoli medioevali siccità, pestilenze e a volte carestie, venivano accettate come un castigo divino. Preghiere, processioni, implorazioni di pietà era tutto ciò a cui le nostre genti s’aggrappavano: la clemenza Divina. Solo dopo il XV sec., con l’aprirsi a nuove conoscenze in campo scientifico, si iniziò a non accettare passivamente tali principi. Si cominciò a capire che non era la volontà Divina, ma il contagio da una persona all’altra la principale causa del dilagare di pestilenze. Si abbandonò così ogni pietà e chi veniva considerato appestato, veniva allontanato dal borgo. Si formò allora una specie di lazzaretto in aperta campagna, nelle vicinanze del “foppone Valera”. Qui lasciarono i loro miseri resti centinaia di desiani e in ricordo di ciò venne edificata questa Cappelletta. Ancora sino al secolo scorso vi si tenevano funzioni religiose. La struttura esterna ed i dipinti interni furono ripristinati a metà dell’Ottocento.

    Molte persone in questi giorni mi chiedono se si potranno ancora celebrare le Sante Messe nelle Cappellette Madonna dei Boschi e Santa Liberata (XVIII secolo-1920).

    La mia risposta è che non è ancora possibile, poiché mancano le garanzie per la sanificazione e il distanziamento come nelle chiese parrocchiali.

    Nel 1963 queste due cappellette sono entrate a far parte del territorio della neonata Parrocchia S. Pio X. Ma in realtà sono di tutta la Città di Desio.

    Quando sono diventato Vicario di San Pio molte persone mi hanno raccomandato di conservare la tradizione e valorizzare la preghiera in questi due luoghi cari alla pietà popolare dei Desiani.

    Sono sempre meravigliato per i molti fedeli che passano per una preghiera e per accendere una candela lasciando anche un’offerta. Le persone non vanno più in chiesa ma qui trovano una consolazione e non mancano di affidare i sofferenti nell’anima e nel corpo recitando una Ave Maria.

    Speriamo di riuscire presto a celebrare le sante Messe alla Madonna dei boschi ogni sabato alle ore 17.30 (mesi di maggio, giugno, luglio, agosto) e nei mercoledì di maggio a Santa Liberata.

    Ma ora ci si può recare singolarmente per una “gita fuori porta” e per recitare le due preghiere che molti conoscono.

    Alla Madonna dei boschi si recita la preghiera di San Bernardo:

    Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito che alcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia chiesto il tuo soccorso, e sia stato abbandonato.
    Animato da tale fiducia, a te ricorro, o Madre Vergine delle vergini; a te vengo, dinanzi a te mi prostro, peccatore pentito.
    Non volere, o Madre del Verbo,
    disprezzare le mie preghiere, ma
    ascoltami benevola ed esaudiscimi. AMEN
    Alla Madonna di Santa Liberata si recita questa preghiera:
    Ave, piena di Grazia, preservata
    dall’Eterno Immacolata.
    Dal peccato originale Liberata.
    Ave, benedetta che hai creduto,
    Ave Madre del Signore, per la Passione del Figlio Addolorata, dal Figlio risorto
    Consolata: da ogni amarezza Liberata.
    Ave, Assunta come il Figlio: dal sepolcro Liberata.
    Ave, Madre della Chiesa: libera tutti da pene e dolori e prega per noi peccatori.
    Ave, Santa che aiuti: dalla carità fredda salvaci, dalla disperazione preservaci, dalla fede spenta liberaci. AMEN

    Don Paolo Ferrario

  • DAL BUIO DEL DOLORE ALLA SPERANZA DELL’AMORE

    DAL BUIO DEL DOLORE ALLA SPERANZA DELL’AMORE

    Storie particolari di scelta di libertà e vita
    14 maggio 2021 ore 21:00

    La Comunità pastorale propone in ripresa della festa per la vita dello scorso 7 febbraio un incontro per condividere testimonianze di scelte che promuovono la vita dal suo concepimento

    Saranno ospiti la Prof.ssa Patrizia Vergani, direttore di Area Ostetrica, Ospedale S. Gerardo, Monza; e la Sig.ra Elena Galbiati, responsabile Centro Aiuto alla Vita CAV, Seregno.

    L’incontro si svolgerà in modalità online
    su piattaforma Zoom.

    Per partecipare scrivi una mail a:
    commissionefamigliadesio@gmail.com
    oppure invia un messaggio WhatsApp con il tuo nome e cognome a 338 4507346 o 340 7384763