«Di me sarete testimoni»: il tema campeggia nei manifesti dell’odierna Giornata Missionaria Mondiale.
Obiezioni alle missioni ne sono sempre state fatte: da quelle contrarie alle pratiche di proselitismo, cioè di imposizione delle conversioni e dei battesimi, a quelle più moderne che invitano a rispettare le culture e a non risvegliare sentimenti di divisioni o contrapposizioni tra i popoli e al loro interno.
Anche i Papi recenti, con diversi linguaggi, hanno fatto qualche critica, che si riassume in uno slogan che Papa Francesco ha ripetuto spesso: «la Chiesa non è una ONG», ossia una benefica organizzazione non governativa internazionale che si occupa esclusivamente di promozione umana. Se lo fa, non è solo per buonissime ragioni di attenzione ai più poveri e di passione per la giustizia –motivi per cui dobbiamo piangere qualche martire tra gli uomini e le donne in missione –, ma per obbedienza a un mandato: «Di me, di Gesù, sarete testimoni».
Tanto la predicazione esplicita del Vangelo o le celebrazioni liturgiche quanto le opere di carità, specialmente in campo educativo e sanitario oltre che di aggregazione e promozione sociale, sono immagini, e quasi anticipazioni, di quel Regno di Dio che è il tesoro più prezioso del Vangelo. Il cuore del missionario batte non solo per compassione umana, ma per rispettare e ricostruire in ogni altro cuore la presenza di Dio che ha creato quell’uomo e quella donna a propria immagine, e così vuole che siano amati.
Oggi la nostra diocesi celebra la Giornata missionaria: siamo invitati a pregare per i nostri missionari e a pensare come poterli aiutare. L’annuncio che, in Gesù, siamo tutti figli dello stesso Padre, il missionario lo fa,non solo con la Parola, ma anche con la testimonianza di un amore concreto, che si china, come il buon Samaritano, sugli ultimi dell’umanità.
Ma tutto questo non è sufficiente: per amare veramente i nostri missionari dobbiamo scoprire sempre più profondamente che anche noi, dobbiamo essere missionari.
Il Vangelo ci porta le parole di Gesù, nel giorno dell’Ascensione e ci accorgiamo che questo annuncio è un comando esplicito di Gesù. Il richiamo a questo aspetto della vita del cristiano è continuo nelle parole sia del Papa che del nostro Arcivescovo.
Forse ci spaventa il compito, perché sentiamo l’inadeguatezza della nostra opera riguardo a un mondo che sembra sempre più lontano da Dio, chiuso al senso religioso vero.
La 1°Lettura ci fa scoprire che il protagonista di questa evangelizzazione è lo Spirito Santo.
Paolo, nella 2° Lettura, ricorda che chiamato da Gesù, con la forza dello Spirito, ha realizzato il suo ministero.
E Gesù, nel brano di Vangelo, assicura “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Ecco perché, per tutti i missionari in prima linea e per noi nelle retrovie, è indispensabile invocare il dono dello Spirito di Gesù risorto e rimanere in comunione con Lui.
Un momento importante da ricordare per la storia desiana: il centenario del laboratorio missionario. Tante le sapienti mani di abili cucitrici che si sono susseguite in cento anni di storia legata ad un servizio gratuito di sostegno alla missionarietà.
Tanti auguri al Laboratorio Missionario Pio XI: compie 100 anni proprio in occasione del mese missionario. È stato chiamato così perché legato all’anno dell’intitolazione papale di Achille Ratti a Papa Pio XI.
Un gruppo nato per inviare ai padri missionari, conosciuti a Desio, ma sparsi in tutto il mondo: camici, casule, tovaglie, servizi della Messa, stole e molti altri oggetti utili per la celebrazione eucaristica.
Maria Grazia, ma da tutti conosciuta come Graziella, è una storica cucitrice del gruppo. Ha iniziato addirittura quando era all’asilo, insieme alla maestra Teresa Confalonieri, a confezionare dei prodotti per la missione. Poi la vita l’ha portata a ricominciare quando aveva circa 40 anni. “Sono cresciuta in una famiglia dove con i missionari c’era grande rapporto; quindi, me la sento di farlo perché è un servizio importante”. “Non è un passare il tempo, ma dare qualcosa per gli altri” ha aggiunto anche Giovanna, un’altra abile cucitrice del gruppo.
Il gruppo ha difatti ricevuto il premio Fanny Gavazzi negli anni Duemila dalla Pro Desio perché ritenuto un progetto di alto valore per la città e la coesione sociale.
“Ricordo i nostri mercoledì insieme come un momento di grande comunione anche nello stare insieme”. Il loro centro di ritrovo era una delle sale del Centro Parrocchiale e così è stato fino al 2019, con la pandemia tutto è cambiato. Ora le ultime cucitrici rimaste sono poche e preferiscono trovarsi nelle loro case per continuare questo servizio.
“Ci dispiace perché era un pezzo importante della nostra vita”. É conosciuto dai cittadini di Desio come il mercatino che veniva allestito alla terza domenica di ottobre per recuperare i soldi delle stoffe in modo da essere così autonome per il sostegno della missione durante tutto l’anno.
“Mandavamo un pacco al Pime, ai Barnabiti, ai Saveriani, alle Pie Madri della Nigrizia e cinque pacchi singoli ai missionari che abbiamo conosciuto, ad esempio, padre Murazzi in Brasile, padre Claudio in Giappone, padre Nardo in Brasile”. Con tutti loro hanno mantenuto una corrispondenza epistolare corredata da foto. Hanno anche adottato un seminarista della Repubblica Centrafricana grazie alla mediazione della fondatrice dell’associazione Talità Kum, Stefania Figini.
E a questo punto viene da chiedersi: qual è il senso dell’aiuto alla missione, oggi un giovane nel 2022 cosa può dare?
Don Sandro Mottadelli ha condiviso una riflessione: “Oggi ai padri missionari non serve ricevere l’occorrente per celebrare l’Eucarestia, ma la consapevolezza di ritornare in missione come rappresentanti della comunità cristiana da cui partono; un tempo erano poveri ed avevano bisogno di materiale: ora c’è bisogno di stimoli culturali per stare insieme nella diversità che arricchisce e che crea comunione“.
In queste settimane nelle chiese della nostra comunità si stanno svolgendo le S. Cresime a conclusione del cammino di iniziazione cristiana.
La mia prima esperienza da catechista inizia letteralmente “col botto”.
Dopo anni di Azione Cattolica e gruppi giovanissimi, in cui ho avuto a che fare prevalentemente con gli adolescenti, sono stata catapultata nel mondo del catechismo da suor Graziana, che ha accolto la mia timida proposta di dare una mano in parrocchia. E non sono entrata in un gruppo qualsiasi: la mia prima esperienza di catechista inizia proprio col gruppo del quarto anno di iniziazione cristiana, durante la quale ho affiancato un’altra catechista più esperta di me.
Il gruppo di ragazzi che ho seguito durante quest’ultimo anno ha iniziato e condotto gran parte del cammino a distanza: la pandemia, si sa, ci ha costretti a relazionarci con gli altri attraverso lo schermo di un pc, e tra un microfono che non funziona e la linea internet che fa capricci, guidare questi ragazzi in questo cammino di discepolato non è stato, certo, una passeggiata. Ma i ragazzi hanno risorse che noi adulti non conosciamo o che, forse, abbiamo dimenticato di avere, e nonostante tutto non si è mai spento in loro l’entusiasmo di incontrare Dio e di crescere come figli nella fede.
Qualche settimana fa abbiamo vissuto uno dei momenti topici della vita di un cristia- no: la Cresima! È stato un cammino intenso fatto di passi, incontri e nuove scoperte. Abbiamo iniziato il nostro percorso incontrando Nicodemo, un fariseo un po’ singolare che cerca Gesù di notte, a cui viene rivelato che per vivere pienamente la vita nella fede bisogna “rinascere” a vita nuova, e che tutto questo può avvenire solo per mezzo dello Spirito di Dio.
Siamo saliti sul monte Sinai con Mosé e abbiamo ricevuto le tavole dei Dieci Comandamenti con cui Dio stabilisce un’alleanza con ciascuno di noi, mettendo per iscritto non solo sulla pietra, ma soprattutto nel nostro cuore leggi che parlano d’amore. E nella logica dell’amore incondizionato e senza riserve si inserisce l’incontro con un altro personaggio del Vangelo, quello del buon samaritano, attraverso cui Gesù ci apre una nuova strada: solo amando noi stessi e gli altri possiamo entrare in comu- nione profonda con Dio; ed è proprio questa comunione profonda, che di rimando, permette di farci prossimi con gli altri! Non può esserci amore vero se non si appartiene a qualcuno. “Io sono la vite, voi siete i tralci: chi rimane nel mio amore vivrà in eterno”. Queste parole di Gesù riportate nel Vangelo di Giovanni sono state tra le più toccanti di tutti i brani letti durante gli incontri. Noi non siamo isole, non siamo girovaghi senza méta, ma siamo i protago- nisti di un disegno che Dio ha pensato per noi ancor prima che nascessimo.
È un Dio accogliente, padre e madre allo stesso tempo, che si prende cura di noi con premura e che ci riempie continuamente di regali. Lo Spirito Santo che i nostri ragazzi hanno ricevuto la settimana scorsa è uno di questi regali: un sigillo segnato sulla fronte che trasforma chi lo ricevere, per cui la nostra povertà e piccolezza diventano sovrabbondanza di amore e di gioia: “la gioia di chi sa di essere amato e di chi vuol fare della sua vita un progetto d’amore”.
In missione per condividere la nostra vita con i meno fortunati della Terra
Giorgio e Cristina, una coppia della Diocesi di Treviso, dopo una esperienza di missione in Ecuador sono pronti a ripartire per il Brasile e qui ci raccontano perché hanno fatto questa scelta di vita.
Succede, che una coppia, felicemente sposata, di circa quarant’anni, con un passato e un presente costruito nel proprio territorio, fatto di amicizie forti, di lavoro e di un luogo dove vivere con serenità, a un certo punto decida di andare a vedere una parte di mondo abitata principalmente da gente povera, per toccare e sentire un altro tipo di umanità.
Perché questo bisogno, questa necessità? Ce lo siamo chiesti molte volte io e mia moglie. All’inizio pensavamo che fosse mera curiosità, non fosse altro per uscire fuori dagli schemi, ma con il passare del tempo ci siamo resi conto che c’era qualcosa di più profondo, qualcosa di più intrinseco che era nato dentro di noi senza che noi stessi ce ne fossimo resi conto.
A posteriori, analizzando la vita antecedente alla missione, ne abbiamo dedotto che la nostra traiettoria ci aveva portato ad un bivio e stava a noi riconoscere la strada futura da intraprendere. Per noi era quella di condividere la nostra vita con le persone meno fortunate che vivono sul nostro stesso pianeta.
Una volta che siamo riusciti a liberarci da tutte le incombenze oggettive che ci legavano al nostro territorio, siamo partiti, con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E così è stato dal primo giorno in cui siamo arrivati in Ecuador, nell’aprile del 2016, fino a oggi.
Ora siamo a Verona, partecipiamo al corso per partenti organizzato dal CUM (Centro Unitario per la formazione Missionaria). La nostra esperienza ecuadoriana è terminata il 12 luglio di quest’anno, ma già si avvicina una nuova partenza. Sarà in Brasile, nella zona amazzonica al confine con il Venezuela.
Qui a Verona si parla spesso di missione, di invio, ma noi preferiamo un atteggiamento diverso, che si avvicina più ad una esperienza di vita, che sia di crescita per noi e per le persone che conosceremo, con cui potremo condividere le cose più belle della nostra cultura e assorbire da loro quanto di più genuino del loro stile di vita.
Una vita, un quotidiano fatto anche di molte sofferenze. Violenza sui minori e sulle donne, uccisioni di persone dove il valore della vita è quasi nullo, disoccupazione, analfabetismo, scarse possibilità di accesso alle cure mediche di base, sopraffazione degli indigeni della selva e distruzione dell’ambiente in cui vivono, sono solo alcune delle situazioni in cui dovremo vivere.
Ma perché non dare una possibilità, un’opportunità a queste persone relegate ai margini del mondo? Fosse solo per una di queste persone, si tratta sempre di un essere umano, la cui vita è il bene più prezioso e il cui valore, soprattutto in quei luoghi, sta perdendo sempre più il suo significato.
Dare valore e un senso alla vita di ciascuno di noi, dare un senso al passato, presente e futuro, far sì che gli sforzi per il progresso umano dell’individuo non siano stati inutili. Dare forza a quello spirito di giustizia e uguaglianza fra le persone della terra, che è l’unica condizione per il raggiungimento di “fratelli tutti”.
L’utopia ha sempre albergato nell’animo dell’uomo, ma la storia ha dimostrato che quello che era utopia ieri, domani potrà diventare realtà. Certo quel domani a cui ci riferiamo sembra lontanissimo, ma non dobbiamo sottovalutarci, dobbiamo credere. Noi crediamo nell’uomo come incarnazione dell’essere divino, qualsiasi cosa questo possa significare. Noi non abbiamo mai approfondito né il Vangelo né la Bibbia, qualche volta ne abbiamo sentito qualche passaggio ma nella nostra piccola esperienza abbiamo collaborato spesso con sacerdoti e suore che cercano di mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù. Vivendo accanto a loro ci siamo resi conto che quegli insegnamenti fanno parte della nostra natura, è come se lo spirito divino fosse entrato in noi (qualcuno ce l’ha detto). Non sappiamo in realtà come stanno le cose, può anche essere che sia così, ma crediamo che questo sia solo un dettaglio. Per noi la cosa più importante, quella che ci fa muovere verso l’altro, è la consapevolezza che tutti noi facciamo parte di un qualcosa che ancora sfugge alla nostra percezione, ma è sicuramente qualcosa di immensamente grande.
29 ottobre ore 21.00 Nel centenario dell’elezione di Papa Pio XI
Ingresso libero
Dialoghi di Pace MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Dialogo fra generazioni,educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura
A cura di
La Foresta di ARDEN
Debora Del Giudice, Gabriele Di Nallo, Roberta Parma, Graziano Salvò, Enrico Balestreri organo, Alessandro Monga flauto, Regia Roberta Parma
I “Dialoghi di Pace” sono una lettura con musica del Messaggio che il Papa rivolge all’umanità per la Giornata Mondiale della Pace.
Suddiviso fra attori-lettori, le cui voci si intrecciano e si incalzano come in un vero e proprio dialogo e si alternano alla musica, il Messaggio diventa opportunità di preghiera e meditazione per tutti: non solo per chi si professa cristiano cattolico, ma anche per chi si riconosce in altri riferimenti religiosi, o non ne ha alcuno.
da “Dialoghi di Pace, un’idea da copiare” di Giovanni Guzzi info: www.rudyz.net/dialoghi
Ai più giovani la data potrà sembrare insignificante. I più anziani ricorderanno invece il celebre discorso “alla luna” del Papa San Giovanni XXIII con la carezza per i bambini: “dite che è la carezza del Papa”.
L’occasione era l’apertura del Concilio Vaticano II. A sera una fiaccolata di migliaia di persone si era radunata sotto le finestre del Pontefice, per esprimere gratitudine per quell’avvio promettente.
Il Concilio Vaticano II non appartiene ancora alla storia, ma al presente. I semi piantati dal Concilio hanno dato frutti, ma non ancora nella loro pienezza.
Tra quelli più preziosi, ancora da coltivare, c’è l’aver messo in mano a tutti la Parola di Dio, sia mediante abbondanti letture liturgiche, sia incoraggiando la lettura, lo studio e la preghiera con la Bibbia, la lectio divina.
Inoltre si è affermata l’immagine della Chiesa come popolo di Dio, fondato sul Battesimo, e non più su una visione gerarchica; così che i laici sono proclamati protagonisti nell’edificare la Chiesa e nell’impegno di testimonianza nel mondo.
Nasce da qui la riforma della liturgia, finalmente celebrata nelle lingue parlate (prima imperava il latino), ed espressione autentica di comunità che pregano, lodano, intercedono.
Non va dimenticata infine l’ispirazione missionaria di tutta l’azione della Chiesa e dei cristiani, nel desiderio di donare a ogni essere umano il tesoro della Buona Notizia, l’Evangelo della salvezza.
Dopo sessant’anni, a ben vedere c’è ancora molto da fare.
La liturgia celebra oggi la festa della Dedicazione del Duomo, cioè l’anniversario della sua consacrazione.
La parola “Duomo”, che deriva dal latino “domus” significa casa. Di “Casa” parla Pietro nella prima Lettura, in cui presenta la Chiesa come edificio spirituale in cui Cristo è la pietra angolare e noi siamo pietre vive.
Torna su questa immagine anche Gesù nel Vangelo, ma la presenta come simbolo della vita cristiana, come una casa costruita con fondamenta sulla roccia, sicura anche dalle piene del fiume.
È un richiamo al nostro essere Chiesa: nel battesimo siamo inseriti in una Comunità parrocchiale, parte di una Comunità più vasta che è la Diocesi che ha nel Duomo il suo centro e che, in comunione col Papa, è la Chiesa cattolica presente in Milano.
Di questa Chiesa dobbiamo essere “pietre vive”, sentirci uniti e corresponsabili della sua vita, tenendo sempre come punto di riferimento la comunione piena con Gesù.
Il Duomo è anche Cattedrale, cioè sede del Vescovo, che ha lì la sua cattedra. La seconda lettura parla del Vescovo come capo della Comunità e Pastore e, la Lettera agli Ebrei, ci ricorda che dobbiamo obbedienza ai nostri capi.
Quest’anno il nostro Vescovo ci richiama alla preghiera e, in particolare, all’Eucarestia che è il vertice della vita cristiana.
Il Vangelo ci ricorda che non possiamo limitarci a dire “Signore, Signore”, ma dobbiamo fare quanto il Signore dice. Solo così la nostra “casa”, la nostra vita, è fondata sulla “roccia” che è Gesù.
don Alberto
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