Riflessioni sul pacifismo italiano e sull’impegno collettivo per una comunità più giusta

Francesco Vignarca, nato ad Erba nel 1974, eupiliese, felicemente sposato con Lucia con la quale cresce tre figlie. È laureato in Astrofisica all’Università dell’Insubria ed un Master in discipline sociologiche (“Qualità sociale e sviluppo locale”), conseguito all’Università di Milano-Bicocca. Da circa venti anni si occupa in particolare di Pace e Disarmo oltre che di politiche nonviolente: dal 2004 e fino al settembre 2021 come coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo, per poi diventare il Coordinatore delle Campagne nella Rete Italiana Pace e Disarmo.


Dopo aver evocato alcune immagini bibliche, Vignarca ha ricordato che il pacifismo italiano è tra i più forti: è un pacifismo che ha compreso che non basta l’approccio etico-irenico al tema della pace, ma che bisogna avere la capacità di usare la tecnologia, di conoscere i dati.


Si è accusati a volte d’essere utopisti. E invece è fondamentale esserlo. Chi ha come meta un’utopia sa bene che non la realizzerà mai pienamente, ma sa anche che tanti piccoli/grandi passi si possono mettere in atto per avvicinarsi a quel sogno.


Per questo la pace è un progetto politico, è un progetto di vita sociale, e quindi è da perseguire in modo collettivo: si devono scegliere insieme i passi da fare. 


Non posso essere in pace io e lasciare che il mondo fuori bruci: è necessario un progetto che coinvolga l’insieme della società. Vista così, la pace non può essere solo questione di chi si occupa di armi, di disarmo, di spese militari.


Ormai sappiamo che vivere la pace non si riduce all’assenza della guerra (peraltro mai come in questi tempi necessaria). Questa sarebbe una pace “negativa”. Quella “positiva invece è qualcosa che già c’è ed promossa ogni colta che si lotta per realizzare i diritti per tutti.


Come ricorda spesso la Bibbia (Salmo 85, Isaia …), la pace positiva è figlia della giustizia e della misericordia


Dobbiamo lavorare insieme a coloro che si occupano di cura del creato, di commercio equo, di finanza equa, di cura dei disabili, di inclusione … E’ questa l’idea da mettere in pratica: collegarsi tutti per arrivare a una nuova visione di società, di comunità.


E quando si arriva alla guerra, cosa possiamo fare? Possiamo solo usare le armi? Fare la scelta militare? No, bisogna fornire un’alternativa: possiamo mandare soldati o invece inviare corpi di pace. Ma questo vuol dire aver preparato già prima ‘strumenti’ di pace. 


Come diceva Alex Langer: la nonviolenza funziona bene prima e dopo le guerre; durante, è tutto molto più difficile.


Giovanna Riboldi e Paolo Terrevazzi