Le cinque “C” per un cuore che educa: Cuore, Cura, Credibilità, Comunità, Competenza.
L’editoriale a firma di don Mauro pubblicato su Comunità in cammino dello scorso 21 settembre recava come titolo “Un cuore per educare”. Il compito educativo, sul quale ci sentiamo chiamati a spenderci attivamente come Chiesa nella Città in questo anno pastorale, necessita di essere messo a fuoco innanzitutto approfondendo le nostre riflessioni; e così, su invito del nostro parroco, provo a proporre un passo in più, ripartendo da quel titolo “Un cuore per educare”…
Per la verità, trovandomi di fronte ad un tema così ampio, potendo contare, personalmente, su un bagaglio di esperienza più vissuta che tematizzata teoricamente, nel momento in cui cercavo di raccogliere le idee per la stesura di questo articolo, ho avvertito la necessità di ricorrere ad alcuni “maestri” che potessero aiutarmi ad orientarmi...
Prima di tutto riaffiorava un po’ confusamente nella mia memoria un versetto dell’Antico Testamento che – ne ero sicuro! – racchiude il verbo educare attribuito a Dio:
“Tu sei stato fatto spettatore di queste cose, perché tu sappia che il Signore è Dio e che non ve n'è altri fuori di lui. Dal cielo ti ha fatto udire la sua voce per educarti; sulla terra ti ha mostrato il suo grande fuoco e tu hai udito le sue parole che venivano dal fuoco” (Deuteronomio 4, 35-36).
Ecco la certezza fondamentale: Dio per primo educa il suo popolo, con la sua Parola che proviene dal Cielo, con la Parola vivente che è il Figlio Gesù, nel cui cuore arde un fuoco d’amore per quell’umanità che somiglia piuttosto a “pecore che non hanno pastore” (Marco 6, 34).
Da questo versetto del Deuteronomio, il rincorrersi dei miei pensieri mi ha indirizzato rapidamente verso quel grande maestro della Scrittura che è il cardinale Carlo Maria Martini e al suo testo “Dio educa il suo popolo”, lettera pastorale per l’anno 1987-88… facendo quattro conti, mi sono detto: ‘Io sono nato nel proprio nel 1987: questo testo non è esattamente recentissimo!’. Eppure, spulciando qua e là, ho ritrovato una pedagogia illuminante, proprio perché profondamente radicata nella Parola di Dio. Mi piace riportane qualche stralcio:
“All'inizio di ogni processo educativo c'è dunque la domanda: Adamo, dove sei? (cf. Genesi 3, 9). L'importante è chiedersi: dove si trova questa persona, questo gruppo, questa comunità? hanno già compiuto un cammino serio? oppure sono all'abc della fede? Si trovano in un momento di depressione, o di scoraggiamento? Definire con amore e con diligenza il punto di partenza è sempre il primo passo per un cammino veramente graduale. [...]
La seconda caratteristica della gradualità è la cura di individuare in ogni situazione il passo successivo da compiere. Si tratta di quel passo che una persona può davvero fare.
Non dunque una richiesta esorbitante o eccessiva, e neppure una richiesta troppo blanda, tale da non costituire un vero e proprio passo in avanti. Alla bambina di dodici anni risuscitata, Gesù non chiede alcun gesto particolare, se non la semplice voglia di riprendere a vivere, ordinando ai genitori “di darle da mangiare” (Marco 5, 43). All'indemoniato guarito, che desidera stare con lui, Gesù non lo permette: “Va' nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto” (cf. Marco 5, 19). A colui che dichiara di aver osservato i comandamenti fin dalla giovinezza, chiede il massimo: Va', vendi, vieni, seguimi! (cf. Marco 10, 21). [...]
Il terzo momento che caratterizza la gradualità di un cammino, è la capacità di proporre un itinerario. Sarebbe bello rileggere, ad esempio, l'intero vangelo di Marco come itinerario educativo proposto ai Dodici, in particolare a Pietro (cf. il mio volumetto: L'itinerario spirituale dei Dodici, 1981). Essi vengono colti nel loro punto di partenza di pescatori incolti, con un desiderio intenso ma ancora vago di religiosità, con una certa attesa di salvezza; di qui vengono portati gradualmente al riconoscimento del Salvatore, del Messia che deve soffrire, fino all'accoglienza della Croce e della Risurrezione. La capacità di costituire itinerari per i soggetti da educare è tipica dell'azione divina nella Scrittura, e deve diventare una capacità educativa propria di ciascuno”. (C. M. Martini Dio educa il suo popolo – par. 9).
Rinfrancato da queste suggestioni, i miei pensieri hanno iniziato a riordinarsi e a focalizzare alcune idee-cardine su cui articolare la mia riflessione, ripartendo da “Un cuore per educare”... ed ecco che si sono materializzate cinque parole-chiave accomunate dalla “C” come lettera iniziale.
1. CUORE
La passione educativa nasce “da dentro”, dal cuore: davvero serve “un cuore per educare”! Lo diceva anche San Giovanni Bosco:
“Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare, […] e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori”.
Questa dimensione personale e interiore, che potremmo chiamare “passione educativa”, ha molti punti in comune con la “com-passione” del Buon Samaritano (cf. Luca 10, 37), che porta a farsi prossimi, a prendersi cura. E per svolgere questo compito di attenzione all’altro, occorre che il cuore dell’educatore sia un cuore “educato”, animato da grande libertà interiore, profonda conoscenza di sé, dei propri punti di forza e delle proprie fragilità, allenato a cogliere il “sentire” dell’altro, come estraniandosi dal proprio punto di vista, per permettere che possa emergere quello del nostro interlocutore.
Con umiltà, da educatori cristiani penso dobbiamo anzitutto invocare dall’Alto, come dono, il fuoco della passione educativa, fuoco che purifica il nostro cuore e illumina e riscalda, attraverso il nostro, il cuore altrui!
2. CURA
Dal cuore deriva la cura, al modo del Buon Samaritano che si fa vicino e fascia le ferite versando olio e vino; mi piace legare l’atteggiamento della cura, in primo luogo, alla dimensione dell’ascolto, che può essere come un balsamo rigenerante, capace di far sentire l’altra persona riconosciuta nella sua soggettività, accolta, non giudicata, benvoluta… quello dell’accoglienza che “fa spazio” all’altro è solo il primo passo di un cammino, come suggerito dal card. Martini, e si pone dunque come passo fondamentale, ossia a fondamento di una relazione che progressivamente potrà evolvere in modo fecondo.
3. CREDIBILITÀ, COERENZA
“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”
scriveva il Beato Rosario Livatino nei suoi appunti… L’aspetto della credibilità, che passa per la coerenza/esemplarità personale implica una dimensione di maturità, di fortezza (che non significa essere infallibili, ma capaci di riconoscere errori sempre possibili e di trasformarsi, perché davvero “sbagliando si impara”): sono qualità proprie della persona adulta, dove “adulto” significa “colui che ha smesso di essere adolescente”, non più concentrato sul bene per sé ma sul bene per l’altro.
4. COMUNITÀ
Se gli “ingredienti” finora suggeriti riguardano la sfera personale di colui educa, dobbiamo riconoscere che questi sono necessari ma non sufficienti: l’opera educativa funziona se non siamo da soli: comunità significa – in una città – conoscenza reciproca e collaborazione tra i tanti enti che, da angolature e con apporti differenti, si dedicano all’educazione: servizi sociali, scuole, società sportive e artistico-musicali, spazi riservati ai giovani; comunità significa prima ancora dialogo con le famiglie e tentativo di supporto perché nessuna di esse si senta sola...
5. COMPETENZA
… e dal supporto arriviamo alla quinta “C”, che ci richiama al fatto che bisogna fare bene il Bene (così amava dire il Beato don Luigi Monza, fondatore dell’Associazione La nostra famiglia): competenza significa desiderio di formazione per accrescere le proprie capacità, ricorso a figure esperte/professionali che vanno a supportare progetti e azioni con il proprio bagaglio specifico e scientifico. Vi faccio una confidenza: sono molto contento, in questo mio avvio di presenza nella comunità e negli oratori della città, di essere affiancato da Valentina, educatrice professionale che per sua scelta personale ha orientato la propria attività lavorativa espressamente all’ambito oratoriano.
Dati gli ingredienti, invochiamo la Sapienza dello Spirito perché con creatività li mescoli e rimescoli, così da generare il profumo e il gusto dell’opera educativa. Che lo Spirito faccia risuonare nel cuore di ciascuno di noi quanto amava ripetere San Giovanni Bosco:
“Miei cari, io vi amo con tutto il cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai”.