L’espressione latina Traditio Symboli trae origine dal cammino catecumenale: fin dai tempi antichi esso prevedeva la “consegna del Credo” ai catecumeni che si impegnavano a renderlo concretamente presente nella propria vita.
Ecco perché la veglia celebra la consegna del patrimonio prezioso della fede ai catecumeni e ai giovani da parte della Chiesa: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,3).
Quest’anno a causa della pandemia non potremo ritrovarci tutti insieme. L’Arcivescovo presiederà la celebrazione in Duomo.
Gli altri gruppi giovanili diocesani ed i loro educatori sono invitati a seguire la veglia di preghiera attraverso la DIRETTA TV e WEB di SABATO 27 MARZO che sarà trasmessa alle ore 20.00 su Chiesa Tv (canale 195 del digitale terrestre), sul portale www.chiesadimilano.it e sul canale youtube.com/chiesadimilano. In differita su Radio Mater alle ore 21.10.
Mentre ci chiediamo se siamo rossi, arancioni o gialli, ci potrebbe sfuggire che una classificazione simile è stata fatta – a partire dal rapporto World Wacht List 2021 e dai dati di Aiuto alla Chiesa che soffre – sui paesi dove è in atto la persecuzione dei cristiani.
Essa si qualifica come assoluta (nero: Corea del Nord), estrema (rosso: tra altri India, Arabia Saudita, Libia), severa (arancione scuro: per es. Cina, Myanmar, Algeria), moderata (arancione chiaro: Turchia, Etiopia e altri), occasionale (giallo: Uganda, Indonesia, ecc.).
Secondo quel rapporto, presentato alla Camera, nel 2020 sono stati uccisi 4.761 cristiani (13 al giorno), 4.277 arrestati senza processo e incarcerati, 1.710 rapiti. Anche il britannico Foreign Office afferma che un terzo della popolazione mondiale soffre di persecuzioni religiose e che i cristiani sono il gruppo più numeroso.
In sintesi: oggi un cristiano su sette vive in terre di persecuzione, rischiando di perdere i propri beni o la vita, sotto l’attacco di radicalismi o la pressione di regimi liberticidi. In Cina non si può svolgere attività religiosa se si hanno meno di 18 anni. Altrove diventa difficile per un cristiano trovare un posto di lavoro o vedere difesi i propri diritti in caso di prepotenze o prevaricazioni di soggetti pubblici o privati. Molti, come accaduto in Iraq, sono stati costretti a emigrare.
Ma Cristo per loro non è un lusso: continuano a professare la fede in Lui, senza lasciarsi mettere in angolo dalle difficoltà.
Il tema che lega le letture di questa domenica è la luce.
La luce è il dono della vista e della fede che Gesù fa al cieco dalla nascita (Vangelo). Ora di fronte alla luce, che è Gesù, c’è chi apre gli occhi, e c’è chi fa finta di non vedere, come i farisei che rifiutano Gesù perchè rivela un Dio troppo diverso dai loro schemi. Anche oggi si ripete questa situazione: c’è chi rifiuta a priori il mistero di Dio o che questo possa rivelarsi; non accettiamo un Dio che non interviene per distruggere i cattivi; in particolare, poi, rifiutiamo che il Signore possa servirsi di persone umili, semplici, per richiamarci al senso vero delle cose e della vita.
C’è chi non vuole fare una scelta definitiva per non sentirsi coinvolto e compromesso: è l’atteggiamento di quando diciamo, “credo, ma ho una mia morale”, quando confondiamo il rispetto degli altri, con la paura a manifestare le nostre idee.
Ma c’è chi accoglie questa luce e crede. È l’atteggiamento del cieco, una persona alla ricerca di uno che lo salvi. È disposto a tutto pur di riavere la vista, ed è premiato con la guarigione e il dono della fede. Una fede che matura a mano a mano, dichiara il cieco: quell’uomo è un profeta, viene da Dio.
Chiediamoci a chi assomigliamo: ai farisei che non si lasciano mai mettere in discussione? O al cieco, che è disponibile a scoprire quanto il Signore fa per lui ed è coraggioso nel testimoniare la sua fede a tutti?
A 150 anni dalla proclamazione , per opera di Pio IX, a Patrono della Chiesa universale, Papa Francesco ci ricorda nella sua Lettera apostolica Patris corde (con cuore di padre), la figura di San Giuseppe e gli dedica un anno speciale, con indulgenza plenaria, fino all’8 dicembre 2021.
«Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà», assicura Francesco, secondo il quale «San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza». In questo testo Papa Francesco usa diverse definizioni che vogliamo qui riportare. Padre amato: per il suo ruolo nella storia della salvezza San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano. Padre nella tenerezza: Giuseppe ci insegna che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. Padre dell’obbedienza: in ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani. Padre dell’accoglienza: tante volte, nella nostra vita accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire misterioso, egli lo accoglie. La vita spirituale che ci mostra non è una via che si spiega, ma una via che accoglie. Inoltre ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole. Padre del coraggio creativo: Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il figlio dell’Onnipotente viene nel mondo e si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo. In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa. Padre lavoratore: il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare le strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro! Padre nell’ombra: lo scrittore polacco Jan Dobraczynski definisce la figura di Giuseppe nei confronti di Gesù, l’ombra sulla terra del Padre Celeste e così ne ha esercitato la paternità per tutta la sua vita. Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto. Cari uomini, a giorni sarà la festa di San Giuseppe. Solitamente festeggiamo anche la festa dei papà, ma davanti a questa figura che prima è stato uomo, poi sposo e padre mi sembra doveroso estendere una preghiera particolare a tutti gli uomini, indistintamente. Dedico a voi tutti un brano di Don Tonino Bello, tratto dal libro “Il vangelo del coraggio”. Più che un brano è una poesia che diventa preghiera: “Dimmi Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse in un mattino di primavera mentre tornava dalla fontana del villaggio…? O forse un giorno di sabato mentre conversava sotto l’arco della sinagoga? Quando ti ha ricambiato il sorriso e poi tu la notte hai intriso il cuscino con lacrime di felicità…? Poi una notte sei andato sotto la sua finestra e le hai cantato le strofe del Cantico dei Cantici. E la tua amica si è alzata davvero, ti ha preso la mano nella sua e lì, sotto le selle ti ha confidato un grande segreto. Ti ha parlato di un angelo del Signore, di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Solo tu il sognatore potevi capirla. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando “per me rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi Maria”. Lei rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente”. Auguri e che il Signore benedica tutti voi!
Martedì 2 marzo 2021 si è riunito in modalità online il Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale di Desio. Dopo un primo momento di preghiera iniziale e la lettura del verbale della precedente riunione, le Commissioni che compongono il Consiglio Pastorale hanno presentato alcuni aggiornamenti sulle rispettive attività in corso e hanno posto uno sguardo sul prossimo futuro alla luce dell’attuale emergenza sanitaria in corso. In seguito, i consiglieri sono stati invitati a volgere lo sguardo sulle attività caritative nelle parrocchie e nella vita dei cristiani. A favorire questo dialogo, un documento presentato dalla responsabile dei Centri d’Ascolto cittadini, Rita Galimberti, che ha illustrato le emergenze attuali alla luce dei bisogni e delle criticità che emergono in questo particolare periodo storico. I consiglieri hanno quindi lavorato in piccoli gruppi, cercando di analizzare la situazione attuale e avanzando alcune proposte che saranno approfondite nei prossimi lavori del Consiglio, anche con una particolare attenzione ai giovani e al loro impegno nel settore della carità. Ciascun gruppo ha presentato una sintesi della discussione che formerà oggetto di un prossimo approfondimento.
È così che abbiamo cercato di spiegare il Sacramento della Riconciliazione ai nostri bambini. Il catechismo proponeva a questo scopo due momenti: la parabola della pecora smarrita, in cui, di fronte a chi si allontana, il pastore reagisce andandolo a cercare e riaccogliendolo nel gregge, e la parabola del Padre misericordioso dove questo padre, nonostante tutto, è sempre pronto ad accogliere con il suo amore il figlio che si è allontanato da lui.
Il percorso aveva lo scopo di abituare i ragazzi a raccontare la propria esperienza, guidandoli a comprendere e individuare i peccati per cui chiedere perdono, leggendo la qualità delle loro relazioni con Dio, con se stessi, con gli altri e con il mondo. In questo contesto è stato efficace l’utilizzo dell’immagine della croce: le sue braccia sono protese verso l’alto (Dio), orizzontali (se stessi e gli altri) e verso il basso (il mondo).
Abbiamo molto insistito affinché la coscienza del peccato non servisse a generare nei bambini sensi di colpa, ma desiderio di ritornare all’amore del Padre riconoscendo le proprie mancanze, senza dimenticare che il perdono ricevuto è fonte di gioia anche per tutta la comunità della Chiesa. Abbiamo cercato di aiutarli a rileggere le loro azioni confrontandole con i tratti della vita di Gesù, insistendo per questo con la necessità di partecipare alla Messa della domenica, per individuare il peccato, che consiste appunto nell’allontanarsi da Lui. Speriamo di averli guidati a vivere l’esame di coscienza come profondo dialogo con il Signore e non come freddo elenco di regole trasgredite.
A fronte di questo nostro impegno, i bambini hanno reagito con tanta emozione soprattutto nel momento della celebrazione, durante la quale è stato commovente l’abbraccio finale con i propri familiari. Speriamo sia giunto chiaro ai ragazzi quanto grande è la bontà e la misericordia di Dio Padre che, col suo perdono, ci riconcilia con Lui, con noi stessi e i nostri fratelli.
In parrocchia troverete un raccoglitore per le offerte che contribuiranno al progetto di aiuto per il Sud Sudan
Uno dei pilastri del periodo quaresimale è l’elemosina e viene spontaneo pensare al “fare” l’elemosina, ovvero prendere una moneta e metterla in un cestino. Ma cosa cambia in me questo gesto? In pratica nulla, io mi sento tranquillo perché “ho dato”, non importa se non so niente di quello che si farà con la mia offerta, è compito di altri, non so nemmeno di chi. Non penso nemmeno che quel “dare” del mio superfluo risponde solo a un obbligo di giustizia, un atto dovuto per ogni essere umano.
Altra cosa invece è condividere l’essenziale, qualcosa di importante della nostra vita. “Non posso restare indifferente al grido di disperazione di tante persone, affamate non solo di pane ma di dignità”, ripete in continuazione Papa Francesco. Condividere significa conoscere la realtà, informarsi, aprire gli occhi: gli strumenti li abbiamo, nessuno può dire di non sapere di quanto accade intorno a noi e nel mondo intero. Condividere è accorgersi dell’altro, interessarsi al mio prossimo, anche quando vive distante da me.
In questo periodo Caritas Ambrosiana ci chiede di dirigere il nostro sguardo verso una delle centinaia di crisi dimenticate nel mondo, guerre o emergenze umanitarie che scorrono quotidianamente nel silenzio generale. Parliamo del Sud Sudan, uno dei paesi più giovani al mondo, diventato indipendente dal Sudan da 10 anni. Ha 13 milioni di abitanti e, a più della metà, manca dell’essenziale per vivere per una vita dignitosa, è in continua fuga, dalle violenze, dalle cicliche inondazioni, dalle malattie, Covid compreso. La gente non sa come si vive in pace -dice Nicoletta Sabetti di Caritas italiana- e le cifre parlano di almeno 500mila vittime delle guerre di questi anni. Nonostante il paese sia ricco di risorse naturali manca tutto, strade, acqua, luce, medicine e la gente è costretta a fuggire nei campi profughi, spesso in altri paesi come l’Uganda. Ma al tempo stesso mantiene la speranza di riprendersi con le proprie forze. Caritas rimane al loro fianco, con programmi che vogliono formare e coinvolgere le persone nella costruzione di progetti sociali come orti collettivi, piccole fattorie, scuole. Investire non solo nelle strutture ma sulle persone, sui giovani, per un avvenire di pace.
Sfruttiamo l’occasione che ci viene data dal gesto di carità proposto in questa quaresima. Usciamo dal nostro piccolo mondo e condividiamo quanto abbiamo e ciò che siamo con chi non ha nulla, allargando il nostro sguardo ai bisogni dell’altro, sia esso il nostro vicino o la gente del Sud Sudan.
Lunedì 8 marzo, in tutto il mondo, sarà celebrata la Giornata Internazionale della donna, ricorrenza che in questo particolare periodo mette ancora più in evidenza le fatiche e le difficoltà che le donne ovunque stanno vivendo. Le donne del Consiglio Pastorale della nostra Comunità Pastorale desiderano in questa occasione raggiungere ogni donna di Desio, offrendo alla fine delle S. Messe di sabato 6 e domenica 7 marzo una preghiera di Santa Teresa di Calcutta e un invito a condividere un percorso di fraternità, come suggerito da Papa Francesco e come indicato anche dal nostro Arcivescovo Mons. Delpini nel Discorso alla città dello scorso 4 dicembre con il suo accorato Tocca a noi.
Un progetto per il futuro della nostra comunità: con questo sottotitolo è stata lanciata a Natale 2020 la campagna di raccolta fondi per la sostituzione della copertura della cupola della nostra imponente Basilica. Don Gianni Cesena ha recentemente detto che “in gioco c’è l’identità della città di Desio intorno al proprio simbolo”, emblema “della presenza e dell’opera di una comunità che cerca di abitare e di collaborare con la città”. Assume dunque grande significato il cantiere che verrà avviato a breve (quando saranno espletati tutti i passaggi burocratici del progetto) e che porterà alla sostituzione delle 28 mila scandole in ardesia che ricoprono la cupola. C’è bisogno del contributo di tutti per sostenere l’oneroso intervento (servono circa 800 mila euro): già oggi è possibile farlo attraverso un bonifico o rivolgendosi alla segreteria parrocchiale. Presto verranno pubblicizzate nuove modalità, anche originali, per partecipare alla raccolta fondi. Inoltre stanno per partire numerose iniziative di sensibilizzazione: concorsi a premi per ragazze e ragazzi, un video contest per adolescenti e giovani e la proposta di un’arena estiva dove troveranno spazio le proposte delle associazioni cittadine. Si sta inoltre lavorando ad un documentario a puntate e alla realizzazione di un sito web dedicato. Ci saranno tante proposte, nella condivisione del senso di un cammino che mira a ritrovare un’anima comune.
OFFERTE PER IL RESTAURO
Fin dal 2019, appena evidenziato il danno alla cupola, la generosità dei parrocchiani si è prontamente messa in moto con donazioni e offerte che, negli anni 2019 e 2020, sono ammontate a 83.000 euro.
Ciò ha permesso di affrontare le prime spese di messa in sicurezza e progettazione per 60.000 euro circa. Nel gennaio 2021, dopo il lancio ufficiale dell’iniziativa Salviamo la cupola, la raccolta risulta di € 10.000. Nel mese di febbraio ammonta a 9.675,42 euro.
C’è bisogno del tuo sostegno
Lascia il tuo contributo nell’apposita cassetta situata in Basilica
Effettua un bonifico bancario a Parrocchia SS. Siro e Materno IBAN: IT54N0344033100000000286300 Causale: Cupola Basilica Desio
Se vuoi contribuire con donazioni particolari o proporre iniziative finalizzate a sostenere il progetto, rivolgiti alla Segreteria Parrocchiale da lunedì a venerdì, ore 9.00-12.00 Tel. 0362-621678; Mail: basilica.desio@tiscali.it
Questa la missione delle due realtà religiose presenti da molti anni nel nostra città: le Ancelle della Carità e i Missionari Saveriani. Suor Lucia e Padre Emmanuel ci raccontano la storia della loro presenza tra noi partecipando attivamente alla vita della nostra Comunità.
Ancelle della Carità
La Congregazione delle suore Ancelle della Carità nasce a Brescia nel 1840, fondata da Paola Di Rosa che, divenuta religiosa con il primo gruppo di compagne, prende il nome di suor Maria Crocifissa fino all’anno della sua morte nel 1855 e risponde con le sue Figlie all’appello di Cristo ovunque l’uomo le chiami: ospedali, assistenza parrocchiale e catechistica, assistenza educativa, assistenza morale.
L’Istituto Paola Di Rosa, in Desio è al servizio dell’educazione dei giovani dal 1896. La scuola si configura come comunità educante in cui genitori, docenti, educatori e suore accompagnano l’alunno dall’inizio del percorso scolastico fino al suo inserimento nel mondo del lavoro. Via S. Pietro 16 – 20832 Desio (MB) +39-0362-621649 info@paoladirosa.it – www.paoladirosa.it
La presenza delle Ancelle della Carità a Desio è una storia lunga di ben 125 anni. Dalla cronistoria del Collegio “Paola di Rosa” apprendiamo che le Ancelle della Carità furono chiamate all’Ospedale di Desio nel 1836. Poco dopo, accanto a quella assistenziale ebbe inizio anche l’opera educativa. La signora Luigia Brughera diede alle suore ospedaliere la gestione del Collegio femminile sito in Piazza Castello. Fedeli ad un carisma ricevuto per essere a sua volta donato, la nostra presenza si concretizza in una complessa opera educativa.
Il Collegio “Paola di Rosa” è sede di una scuola Cattolica in cui vengono promossi i valori della cultura, della solidarietà, della legalità, della giustizia e della pace che sono alla base di ogni convivenza e trovano la loro origine nella dignità di figli di Dio propria di ogni uomo.
L’intera comunità delle Ancelle dedica intelligenza e cuore nell’ambito educativo con stile di accoglienza e di servizio, tessendo così buoni rapporti interpersonali in una concreta collaborazione con tutta la cittadinanza desiana.
Inserite nel contesto sociale a pieno titolo, facciamo nostre le gioie e i dolori, i problemi delle persone e viviamo in solidarietà con tutti un impegno quotidiano per compenetrare il tessuto sociale di principi cristiani e di valori civili.
Nello Spirito del nostro carisma di carità siamo disponibili ad un cammino di condivisione con i sacerdoti e la Comunità parrocchiale in cui siamo inserite e a cui apparteniamo. Curiamo l’iniziazione cristiana, la Catechesi e l’accompagnamento nel cammino di crescita dei ragazzi e degli adolescenti in un concreto dialogo con le famiglie, i catechisti e gli animatori. Condividiamo con i giovani un percorso di riflessione e di ricerca delle verità. Partecipiamo ai vari “Consigli pastorali parrocchiali” e come ministri straordinari dell’Eucarestia. Viviamo accanto alle persone anziane, ammalate e ai loro familiari ricordando sempre che “l’Ancella è venduta alla Carità” e che è a disposizione completa di questa virtù.
Se ci chiedete quali progetti abbiamo qui a Desio, vi rispondiamo che il futuro è nelle mani di Dio, il presente è un dono, un talento da far fruttare al meglio. Il passato è riconoscenza alle tante sorelle che in Desio hanno dato il meglio di sé donando gioventù, forze e vita. Non vorremmo che si interrompesse questa catena di amore, custodi di una tradizione e di una consegna ricevuta ricordando che “a nessuna opera di carità l’Ancella si reputerà straniera”, essendo consacrata a tutti con il solo nome Ancelle della Carità.
Vorremmo che il Signore facesse prosperare per la Sua infinita bontà il nostro servizio, pur nella precarietà del numero, delle forze e dell’età.
Missionari saveriani e desiani: una storia piena di gratitudine
Quella di Desio è una storia d’amore tra i missionari saveriani ed i cittadini desiani che inizia a scriversi subito dopo la seconda guerra mondiale. I missionari saveriani hanno grande stima di papa Pio XI, considerato grande papa missionario moderno. In 74 anni a Desio tante storie si sono incrociate. Accogliendo i missionari, avete accolto nel vostro cuore il mondo intero. Pregando per i missionari, avete pregato per l’umanità intera. Accompagnando i missionari, avete aperto il vostro cuore a tante persone. Aiutando i missionari avete aiutato il popolo cui siamo inviati in 21 nazioni, sparsi in 4 continenti. L’unico progetto che possiamo, insieme, avere per il futuro, è quello dell’Amore che va oltre le frontiere geografiche, linguistiche, culturali, morali, religiose, ecc. Il grande sogno rimane, perciò, “fare del mondo una sola famiglia”. I saveriani arrivano a Desio il 15 febbraio 1947 e il giorno dopo, mons. Giovanni Bandera annuncia alla popolazione che i Missionari di Parma aprono a Desio. La gente è contenta e ha parole di simpatia. I missionari prestano servizio in Parrocchia confessando tutti i giorni, si impegnano nelle celebrazioni eucaristiche, nella formazione delle comunità cristiane. Quello che caratterizza i missionari, fin dall’inizio, è una ventata di internazionalità, di universalità della Chiesa: dal film (“Alveare”) ai presepi internazionali, dalle mostre ai teatri. L’11 maggio 1977 i Missionari si spostano dalla villa Tittoni all’attuale sede. Nella nuova casa vengono formati i giovani che desiderano consacrare la loro vita per l’annuncio del Vangelo. E quando i missionari saveriani compiono 50 anni a Desio, il Cardinale Martini, arcivescovo di Milano, scrive: “Gli Istituti Missionari, infatti, sono espressione e strumento della missionarietà della Chiesa universale […] Voi Missionari di Desio, vi siete dedicati da tanto tempo e con passione per la formazione alla sensibilità missionaria e nell’animazione della comunità […] e vi auguro quindi di proseguire nella strada intrapresa affinché tutte le nostre parrocchie crescano e assimilino quello stile missionario che caratterizza le autentiche comunità cristiane”. Oggi cosa fanno i missionari saveriani? Prima di parlare del fare, mi sembra opportuno spendere due parole sull’essere missionari. Dio ha posto, gratuitamente, il suo sguardo sul missionario, il quale si sente amato, benedetto, scelto e chiamato. Rispondendo sì alla chiamata del Signore il missionario avrà come compito principale/primordiale la preghiera da cui scaturirà, di conseguenza, lo zelo per condividere con fratelli e sorelle quanto lui stesso si sente amato e desidera che ogni persona faccia la medesima esperienza. Tutto il resto viene in conseguenza della Comunione con Dio e, quindi, con ogni persona soltanto perché è immagine e somiglianza di Dio. Il missionario annuncia quindi il frutto della sua esperienza quotidiana: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt28,20). Anche se vengono meno le forze fisiche ed economiche, la salute, i progetti, l’unica cosa che rimane è l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo inteso come uno straniero/sconosciuto, un carcerato, un malato… Negli ultimi anni ci dedichiamo all’accompagnamento dei gruppi missionari in alcuni decanati della V zona pastorale, nei ministeri vari (celebrazioni eucaristiche e confessioni) a Desio e nei paesi limitrofi, in alcune attività diocesane, nella formazione alla mondialità nelle scuole, nel dialogo interreligioso e interculturale perché gli itinerari che oggi la Chiesa ci propone sono il cammino del dialogo, dello scambio culturale, della promozione delle comunità cristiane di base, del servizio qualificato, all’interno del nostro carisma, alla Chiesa.
Missionari saveriani e desiani: una storia piena di gratitudine
Quella di Desio è una storia d’amore tra i missionari saveriani ed i cittadini desiani che inizia a scriversi subito dopo la seconda guerra mondiale. I missionari saveriani hanno grande stima di papa Pio XI, considerato grande papa missionario moderno. In 74 anni a Desio tante storie si sono incrociate. Accogliendo i missionari, avete accolto nel vostro cuore il mondo intero. Pregando per i missionari, avete pregato per l’umanità intera. Accompagnando i missionari, avete aperto il vostro cuore a tante persone. Aiutando i missionari avete aiutato il popolo cui siamo inviati in 21 nazioni, sparsi in 4 continenti. L’unico progetto che possiamo, insieme, avere per il futuro, è quello dell’Amore che va oltre le frontiere geografiche, linguistiche, culturali, morali, religiose, ecc. Il grande sogno rimane, perciò, “fare del mondo una sola famiglia”.
I saveriani arrivano a Desio il 15 febbraio 1947 e il giorno dopo, mons. Giovanni Bandera annuncia alla popolazione che i Missionari di Parma aprono a Desio. La gente è contenta e ha parole di simpatia. I missionari prestano servizio in Parrocchia confessando tutti i giorni, si impegnano nelle celebrazioni eucaristiche, nella formazione delle comunità cristiane. Quello che caratterizza i missionari, fin dall’inizio, è una ventata di internazionalità, di universalità della Chiesa: dal film (“Alveare”) ai presepi internazionali, dalle mostre ai teatri.
L’11 maggio 1977 i Missionari si spostano dalla villa Tittoni all’attuale sede. Nella nuova casa vengono formati i giovani che desiderano consacrare la loro vita per l’annuncio del Vangelo. E quando i missionari saveriani compiono 50 anni a Desio, il Cardinale Martini, arcivescovo di Milano, scrive: “Gli Istituti Missionari, infatti, sono espressione e strumento della missionarietà della Chiesa universale […] Voi Missionari di Desio, vi siete dedicati da tanto tempo e con passione per la formazione alla sensibilità missionaria e nell’animazione della comunità […] e vi auguro quindi di proseguire nella strada intrapresa affinché tutte le nostre parrocchie crescano e assimilino quello stile missionario che caratterizza le autentiche comunità cristiane”. Oggi cosa fanno i missionari saveriani? Prima di parlare del fare, mi sembra opportuno spendere due parole sull’essere missionari. Dio ha posto, gratuitamente, il suo sguardo sul missionario, il quale si sente amato, benedetto, scelto e chiamato. Rispondendo sì alla chiamata del Signore il missionario avrà come compito principale/primordiale la preghiera da cui scaturirà, di conseguenza, lo zelo per condividere con fratelli e sorelle quanto lui stesso si sente amato e desidera che ogni persona faccia la medesima esperienza. Tutto il resto viene in conseguenza della Comunione con Dio e, quindi, con ogni persona soltanto perché è immagine e somiglianza di Dio. Il missionario annuncia quindi il frutto della sua esperienza quotidiana: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt28,20). Anche se vengono meno le forze fisiche ed economiche, la salute, i progetti, l’unica cosa che rimane è l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo inteso come uno straniero/sconosciuto, un carcerato, un malato… Negli ultimi anni ci dedichiamo all’accompagnamento dei gruppi missionari in alcuni decanati della V zona pastorale, nei ministeri vari (celebrazioni eucaristiche e confessioni) a Desio e nei paesi limitrofi, in alcune attività diocesane, nella formazione alla mondialità nelle scuole, nel dialogo interreligioso e interculturale perché gli itinerari che oggi la Chiesa ci propone sono il cammino del dialogo, dello scambio culturale, della promozione delle comunità cristiane di base, del servizio qualificato, all’interno del nostro carisma, alla Chiesa.
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