Autore: don Mauro Barlassina

  • Fare Palio insieme

    Fare Palio insieme

    Il Palio degli Zoccoli ritorna con tutte le caratteristiche, i tratti distintivi della sua storia, le qualità riproposte soprattutto grazie all’impegno delle persone che, anno dopo anno, lo pensano, lo preparano e lo realizzano. Cosa significa ogni anno riportare l’attenzione su un evento come questo? Non penso che si possa parlare semplicemente di rispetto di una tradizione che ha radici nella storia di un piccolo borgo diventato nel tempo una città.

    Non penso che sia nemmeno un semplice momento in cui attivare una competizione esasperata tra le contrade, anche se la sana competizione favorisce il coinvolgimento e lo spettacolo.

    Non penso neppure che si realizzi il Palio degli Zoccoli solo per fare notizia, per cercare di ribadire una identità.
    Nel Palio che si disputa a Desio ci sono certamente tutte queste componenti, ma nella modalità con cui è strutturato emergono soprattutto motivazioni precise e sempre attuali.
    Fare Palio è entrare in relazione: nella forma e nella composizione del corteo storico e poi nella competizione, ho visto come obiettivo primario offrire uno spettacolo di armonia e di bellezza.

    È l’armonia della cura per il particolare che arricchisce il tutto, è la ricerca della bellezza che, valorizzando ogni dettaglio, fa emergere, sviluppa e favorisce il desiderio di unione tra le persone.

    Fare Palio è continuare a coltivare un’idea di città tendenzialmente alla ricerca di un cuore pulsante, dove le differenze di pensiero, di vedute, di storie personali non sono necessariamente destinate al conflitto, ma all’individuazione del bene a favore del maggior numero di cittadini, per la collettività, rinunciando a logiche ideologiche sempre meno capaci di favorire la realizzazione di progetti concreti.

    Fare Palio è riconoscere come sia fondamentale il dialogo tra le generazioni, nella consapevolezza che l’esperienza di chi è più avanti con gli anni, chi è adulto, non può prescindere dalla creatività entusiasta di chi è più giovane.

    Fare Palio è intuire come un episodio contestualizzabile in un passato remoto e, oggi, apparentemente lontano, permetta di cogliere esigenze ancora connesse con il presente.

    Per tutti i motivi accennati ringrazio organizzatori e contradaioli e, con loro, l’intera cittadinanza per il Palio degli Zoccoli edizione 2025 e auguro alla città di Desio di far sempre più squadra intorno ad eventi come quello che viviamo oggi.

  • Partecipare sempre

    Partecipare sempre

    Succede di venire a conoscenza di un fatto e, pur senza saperne molto, di permettersi di scrivere giudizi. Questo metodo è esploso ad esempio nei giorni della morte di Papa Francesco e del pre e post conclave: si sono letti spesso commenti banali e superficiali, luoghi comuni e frasi fatte.
    Lo stesso metodo approssimativo viene applicato ancor più quando si tratta di esprimersi attorno al governo di una nazione o di una città.

    Le frasi più ricorrenti sono: “tanto non cambia niente” oppure “le cose non funzionano e non funzioneranno mai”.

    Domenica prossima i desiani saranno chiamati a esprimere il voto per la scelta del sindaco e di coloro che governeranno la città nei prossimi anni. Voglio ringraziare tutti i candidati sindaci e coloro che si sono lasciati coinvolgere nelle liste elettorali.

    Al di là della posizione politica, ogni persona che si candida è da apprezzare riconoscendone l’impegno del mettersi a servizio del bene comune.

    Al tempo stesso ogni cittadino è chiamato all’impegno coraggioso e doveroso di esprimere con il voto la propria partecipazione. Andare a votare non è solo un diritto, ma ancor più un dovere per favorire la crescita di una comunità di uomini e donne, giovani e anziani, capaci di dare volto alla città dell’uomo.

    E la città è dell’uomo quando i volti e gli sguardi, l’incontro e la condivisione di luoghi e spazi hanno il primato su ogni altra strumentalizzazione.

    Nella Gaudium et spes, costituzione del Concilio Vaticano II nel rapporto tra Chiesa e mondo, si afferma:

    “È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo”.

    Con questa consapevolezza invito tutti, a partire dai cristiani che vivono la città, ad un rinnovato protagonismo laicale, fondato sulla dottrina sociale della Chiesa. È il tempo di lavorare insieme per ridare un’anima alla città, con una visione chiara del futuro, rafforzando la cultura della partecipazione e della responsabilità condivisa.

    Sarebbe perdere l’appuntamento con la storia e con quanto ciascuno di noi può offrire a scrivere tale vicenda storica “lasciare a un destino di abbandono la bella città di Desio, la città del lavoro e dell’intraprendenza, la città della cura e della prossimità, la città dell’accoglienza e dell’integrazione culturale e religiosa, la città dell’educazione pensata e realizzata, una città pronta ad accogliere e dare spazio di espressione a tutte le generazioni, attraente per i giovani e vivibile per gli anziani”.

    Con Giorgio La Pira, grande uomo di visione, sono certo che: “c’è una primavera che si prepara in questo inverno apparente”.

  • Il discepolo che è padre

    Il discepolo che è padre

    Introducendo un libro del Cardinale Scola, dal titolo “Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia“, il Papa scriveva qualche giorno prima del ricovero in ospedale: “Con queste pagine tra le mani vorrei idealmente compiere lo stesso gesto che feci appena indossato l’abito bianco da Papa: abbracciare con grande stima e affetto il fratello Angelo, ora entrambi più vecchi di quel giorno di marzo 2013, ma sempre accomunati dalla gratitudine verso quel Dio amoroso che ci offre vita e speranza in qualunque età del nostro vivere”.

    La morte di un Papa è per il cristiano ma, in un certo senso, per ogni donna e uomo in cerca di significato per la vita, momento di riflessione. Al di là dei tanti commenti di cronaca e interpretazioni di schieramenti, quello che dovrebbe accompagnarci è un interrogativo che sta alla
    radice del servizio svolto dal Papa: qual è il tratto di Vangelo che la sua vita esprime con maggiore luminosità?

    Rileggendo i dodici anni di servizio alla Chiesa di Francesco è indubbia la percezione che il Vangelo delle beatitudini ha ispirato la sua vita e il suo insegnamento: Francesco è il discepolo che ha praticato la povertà nello spirito vivendo in modo essenziale e, soprattutto, indicando alla Chiesa il tesoro prezioso che ogni povero è per la comunità dei discepoli. Già all’inizio del pontificato ricordava di essere Chiesa che non si dimentica dei poveri e di ogni periferia esistenziale. L’esortazione apostolica ‘La gioia del
    Vangelo’ sullo stile della Chiesa missionaria e
    l’Amoris Laetitia sono inscindibilmente legate ai gesti
    di vicinanza ai migranti e a ogni altra situazione di
    emarginazione o sofferenza.

    Francesco è il discepolo che ha praticato la mitezza di cuore nei confronti di ogni persona e di tutta la Chiesa. Una mitezza che è tutt’altro che qualsiasi forma di debolezza, ma che annuncia motivi per sperare in ogni situazione. Non a caso nel testo sopra citato esprime “gratitudine verso quel Dio amoroso che offre vita e speranza in qualunque età”, cioè in qualunque situazione di vita.

    Il Papa ha ricordato di continuo che l’origine della speranza è la misericordia del Padre. Nel messaggio di Pasqua, poche ore prima del passaggio di vita in vita, annunciava: “Dio ha preso su di sé tutto il male del mondo e con la sua infinita misericordia lo ha sconfitto: ha sradicato l’orgoglio diabolico che avvelena il cuore dell’uomo.

    L’Agnello ha vinto. Per questo oggi esclamiamo: Cristo mia speranza è risorto”. Francesco è il discepolo che ha operato per la pace tra i popoli e le nazioni e per la fraternità universale. Infiniti sono i suoi appelli alla pace e alla riconciliazione e infinite sono le iniziative da lui intraprese al riguardo, fino ad arrivare a scrivere un’enciclica dal titolo evocativo: Fratelli tutti. Anche il giorno di Pasqua affermava: “Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile”. E ancora: “Nessuna pace è
    possibile senza un vero disarmo”. Nel testamento, breve ed essenziale, conclude scrivendo: “La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita la offro al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli”. Sono brevi accenni, ma certamente capaci di lasciare trasparire la speranza che anima il cuore di Francesco: la vita eterna in Cristo risorto. Grazie Padre e continuiamo a pregare per te.

  • Sperare l’insperabile

    Sperare l’insperabile

    “Il mattino di Pasqua, nel ricordo di lui, siamo andati al sepolcro, ma non era più là…

    Sono le parole di un canto pasquale, la traduzione poetica del Vangelo di Risurrezione!
    Eppure, queste parole, pur sostenendo le ragioni della nostra speranza, possono stridere con la realtà del quotidiano.

    Oggi è Pasqua, oggi il Crocifisso è risorto, oggi la vita vince la morte e la luce la notte, ma la sofferenza continua a segnare volti e corpi di uomini e donne. I motivi sono diversi e prendono il nome di malattia inguaribile, di malattia psichiatrica, di guerra e violenza, di conflitto e risentimento, di maltrattamento e di ferite nell’esperienza dell’amore.

    Nel romanzo La Peste di Camus leggiamo un dialogo tra un medico ateo, di nome Rieux, e il prete Panaloux seduto al letto di un giovane morente. Dopo l’intera notte passata in veglia, il medico a mezza voce sussurra: “…Noi lavoriamo insieme per qualcosa che riunisce al di là delle bestemmie e delle preghiere. Questo solo è importante”. Paneloux, vicino a Rieux, aveva un’aria commossa. “Sì – disse – anche lei lavora per la salvezza dell’uomo”. Rieux tentava di sorridere. “La salvezza dell’uomo è un’espressione troppo grande per me. Io non vado così lontano. La mia salute m’interessa, prima di tutto la mia salute… Quello che odio è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli”.

    Il confronto-dialogo tra l’ateo e il credente è qualcosa di più di una costruzione letteraria, è l’esplicitazione della domanda che tutti ci portiamo nel cuore.

    Non è reale essere credenti senza attraversare il dramma di tali interrogativi. È il dramma della Pasqua, del tempo del silenzio davanti al sepolcro e quello della gioia contagiosa quando si tocca con mano che il corpo di Gesù “non era più là”.

    Il morire di Dio sulla Croce, il suo attraversare la vicenda di ogni uomo e donna che è la morte è anzitutto condivisione di una situazione, ma diventa consolazione e speranza per tutti dal momento che “non era più là”. Il sepolcro non è la fine della vita. Il fine della vita è la beatitudine del mattino di Pasqua.

    L’esperienza del mattino di Pasqua è allora il fatto che sostiene ogni giorno del nostro pellegrinare.

    Siamo uomini e donne che stanno nel mondo come pellegrini di speranza e non come vagabondi senza senso.

    Con le parole di Ermes Ronchi auguro a ciascuno di voi buona Pasqua, buona vita nella speranza:

    “Io spero perché il centro del cristiano non è ciò che io faccio per Dio, ma ciò che Dio fa per me; io ho speranza perché il centro della fede non sono le mie azioni, ma l’azione di Dio.
    La salvezza è che lui mi ama, non che io lo amo”.

    E Dio, in Gesù, ama ogni uomo e ogni donna.
    Ogni persona. Buona Pasqua

  • Il Dio credibile

    Il Dio credibile

    Luci e ombre. Vita e morte. Gioia e dolore. Pace e guerra. Incontri e scontri…

    L’elenco potrebbe continuare: l’esperienza quotidiana ha il volto del dramma. In concreto, cosa è un dramma? Non è difficile individuarne il significato: “dramma indica qualcosa di intenso, appassionante, commovente o persino tragico”.

    In altre parole, l’esperienza di noi donne e uomini contemporanei, come per tutte le generazioni che ci hanno preceduto e ci seguiranno, ci rimanda agli interrogativi: Chi sono io? Chi siamo noi? Che senso ha il susseguirsi di situazioni personali e comunitarie opposte tra loro?

    All’inizio della Settimana Santa la domanda è ancora più decisiva perché alla gioia dell’accoglienza di Gesù come un eroe, un salvatore della Patria, segue il rifiuto, il tradimento, la paura. E con il rifiuto, la condanna a morte, la sepoltura e il silenzio della tomba.

    Eppure, il sepolcro non è l’atto definitivo di questo dramma perché il Crocifisso è Risorto!

    Nella Settimana Santa è Dio che assume su di sé il dramma della vicenda umana, ma attraverso l’intensità del soffrire e del morire suggerisce percorsi di speranza. Quello che vivremo nella liturgia non è una rappresentazione che ricorda fatti ormai lontani, ma è il realizzarsi nell’oggi della vicenda che apre alla speranza il dramma della vita di uomini e donne che gioiscono e soffrono, lottano e ritrovano luce nella complessità del quotidiano. Il tempo del Triduo Santo ha un valore educativo unico e una forza sanante non rintracciabile in altri percorsi. È il luogo in cui Dio ci incontra senza barriere, senza distanze, prendendo su di sé le nostre domande e donandosi come la ragione di ogni vita.
    Il Cardinal Martini in una omelia all’inizio della Settimana Santa afferma:

    “La via della fede è la via del cuore, cioè l’affidarsi a lui, il credere in lui crocifisso, segno dell’amore illimitato di Dio per l’uomo… È la via della conversione… è la via della vita, la vita di Dio in noi, per noi, con noi. È la via della vittoria di Dio, così come essa si snoda attraverso i sentieri di un’umanità frammentata e divisa, di una cultura decadente e conflittuale”.

    Si tratta di dare credibilità al Dio che non cerca potere, ma servizio; al Dio che ha come metro di giudizio la misericordia, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Al Dio che sta nel dramma della vicenda umana e ne condivide ogni passaggio. Suggerisco di lasciarci accompagnare dal percorso di Cristo nella settimana di passione perché è la via per non rischiare di vedere il ‘bello‘ del dramma.

    Questa esperienza è descritta con acume nella poesia di Davide Maria Turoldo che si fa preghiera:

    Ma tu non ami la morte
    Tu sei venuto fra noi
    per mettere in fuga la morte
    per snidare e uccidere la morte.
    Anche a te la morte fa male
    per questo sei amico
    di ognuno segnato dal male:
    e ogni male tu vuoi condividere….
    Solo un abbaglio, o equivoco amaro
    quando non sia stoltezza –
    Fa dire di te che sei
    La «divina indifferenza”

  • In ascolto… In cammino!

    In ascolto… In cammino!

    Oggi con la preghiera del Vespero iniziamo la settimana degli Esercizi Spirituali.

    Cosa sono gli Esercizi Spirituali?

    Un tempo nell’anno in cui ascoltare con maggiore intensità la parola di Dio per interrogarci su quello che ci sta chiedendo lo Spirito Santo. Non è solo un momento in cui seguire una serie di prediche, ma un tempo nel quale lasciare che Gesù Cristo parli al nostro cuore. In altre parole, è una esperienza di vita.

    E’ fondamentale leggere e rileggere i brani evangelici che saranno preparati perché arrivino ad intercettare le domande che abbiamo nel cuore, permettendoci di riconoscere che Cristo ci sta comunicando qualcosa che ha a che fare con la nostra vita.

    Gli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria sono diversi da una settimana di silenzio passata in qualche casa per la preghiera. Ognuno di noi continuerà ad avere le occupazioni di sempre, ma negli impegni quotidiani può riservare spazi di ascolto e di silenzio per la riflessione.

    Per chi sono gli Esercizi Spirituali?

    Sono una proposta per tutti, adulti e giovani. Sono occasione per tornare a cercare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente.

    Ognuno di noi ha desideri e attese, interrogativi e gioie che, interpellandoci, ci conducono a ‘cercare il Signore per vivere‘.

    Nella settimana che iniziamo, ciascuno può rileggere la sua vita alla luce della Parola. E’ proprio Gesù a ricordarci che “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

    Affermare di essere credente non è solo celebrare riti, ma vivere dell’incontro del nostro ‘io‘ con il ‘tu‘ di Dio Padre.

    Quale percorso sarà proposto?

    Il filo conduttore in quest’anno giubilare è: Il cammino penitenziale del discepolo. I testi del Vangelo che approfondiremo e su cui pregare hanno come protagonisti Gesù e Pietro. Cercheremo di ascoltare il cammino che Gesù fa compiere a Pietro per essere realmente discepolo. Al tempo stesso sarà necessario arrivare a riconoscere che molte fatiche e conquiste di Pietro non sono estranee alle nostre.

    Quali attenzioni praticare?

    Perché sia esperienza di incontro con Gesù vivo è utile seguire fino in fondo il tempo degli Esercizi. Verranno offerti spunti utili per fissare ogni giorno il messaggio per noi e, nel procedere delle giornate, tornare a chiederci: quale messaggio per me Signore?

    Suggerisco di pregare così:

    O Dio affido questo tempo di ascolto della tua Parola per imparare a riconoscerti sempre più e meglio come Padre.

    In ascolto del tuo Spirito di amore e verità fa che il mio cuore e la mia mente si aprano al ristoro mai abbastanza riconosciuto ma decisamente necessario al mio vivere.

    Con i miei fratelli e sorelle chiedo questo dono in Cristo Gesù tuo Figlio. Amen

  • Alla ricerca di un porto sicuro…

    Alla ricerca di un porto sicuro…

    Nel corso di questo anno Santo sentiamo ripetere più volte che la speranza non delude! Eppure le fatiche quotidiane non mancano, i risentimenti personali e di gruppo sono rintracciabili di frequente nei discorsi anche nella comunità cristiana, alcune situazioni umane sono evidentemente senza speranza. È vero anche che ci sono innumerevoli e silenziosi segni di luminosità che tengono viva la speranza, uomini e donne che operano facendo il bene, che vivono la quotidianità con senso di responsabilità e con passione.

    Tuttavia prevale l’ansia, meglio l’affanno. Sembra che
    il tempo non basti mai per fare tutto quanto. Le previsioni e le proiezioni circa il futuro sono spesso negative e inquietanti.

    È fondamentale tornare ad ascoltare l’annuncio: ‘La speranza non delude…‘ Ma come e dove lasciar risuonare questa certezza? Quando sostare perché la dispersione imposta dal ritmo vertiginoso del presente ci permetta di ascoltare la speranza che non delude?

    Ancor più in questo anno Santo siamo pellegrini di speranza e prendiamo coscienza di esserlo solo se decidiamo di fare alcune soste. Soste di ascolto per ritrovare la ragione della speranza. Soste di preghiera per lasciarci incontrare da Cristo che ci cerca appassionatamente. Soste per rientrare in noi stessi e riconoscere che le ombre del peccato sono guarite nel momento in cui vengono ravvisate e affidate all’abbraccio della misericordia del Padre buono.

    Soste che il tempo di Quaresima ci offre anche con la settimana degli Esercizi Spirituali che vivremo in comunità dal 9 al 16 marzo.

    Nell’invito a vivere l’Anno Santo Papa Francesco scrive: “Nel cammino del Giubileo, ritorniamo alla Sacra Scrittura e riconosciamo per noi queste parole della Lettera agli Ebrei:…noi che abbiamo cercato rifugio in Lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa abbiamo infatti un’ancora sicura e solida per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi”.

    Per ritrovare ogni giorno la ragione della speranza è imprescindibile fermarsi e riconoscerla, fermarsi e cercarla. In questo Anno Santo invitiamo tutti a vivere con intensità gli Esercizi Spirituali, per capire che è possibile stare al mondo
    senza eccessivi contraccolpi e scossoni quando cerchiamo rifugio in Lui, quando Cristo è davvero àncora sicura e solida. Se il silenzio è il linguaggio di Dio, mettiamoci in ascolto, in silenzio, degli Esercizi Spirituali nella vita ordinaria.

    La speranza non delude…, non ci lascia nella con-
    fusione, ma ci offre il porto sicuro nella navigazione
    della vita.

  • Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Gli operatori di pace sono degli illusi?

    Alcuni mesi fa abbiamo sentito uomini di governo affermare: “Se vuoi la pace prepara la guerra!”. Altri sono decisamente convinti che solo una guerra può risolvere alcuni dei problemi strutturali dell’epoca in cui viviamo. La conseguenza, banale e semplicistica, interessata e fuorviante, è deridere chi sceglie di operare, sostenere e pregare per la pace tra i popoli e le nazioni.

    Spesso il modo migliore per sostenere posizioni ingannevoli e pericolose per l’umanità è proprio quella di deridere o accusare (a prescindere) chi non è allineato al pensiero dominante.

    I social e le innumerevoli modalità manipolative del reale creano consensi finali, dispensando l’individuo dal considerare tutti gli aspetti in gioco.

    Proporre per la giornata del 9 febbraio la marcia della pace in città è una scelta che vorrebbe favorire un dialogo tra le genti, una sinergia tra le componenti sociali, religiose e culturali presenti sul territorio.

    Cattolici, musulmani, agnostici, cercatori di senso, non sono uomini e donne in contrasto tra di loro, ma persone capaci di riflessione, di considerazioni e di pensiero.

    Il pensiero e le conclusioni non sono certamente identiche, ma alcune scelte ci accomunano. E ogni uomo e donna di buona volontà non può che arrivare a riconoscere che la guerra non può che distruggere, mentre la pace (in certi tempi più difficile da scegliere) non può che costruire.

    Senza azzardare conclusioni troppo semplicistiche, ho l’impressione che il diffondersi di una cultura di guerra e, quindi, di morte e distruzione, sia conseguenza di mancanza di respiro nel cuore di molti. Il cercare a tutti i costi e senza limiti di possedere, avere, utilizzare, alla lunga può renderci uomini e donne senza speranza, appunto senza respiro!

    Quando non si vede un ‘oltre’, il rischio è di cadere nell’inganno, cioè che solo la legge del più forte risolve i problemi personali e strutturali.

    Scendere in piazza, percorrere le strade della città per dire che siamo per la pace è scegliere per l’uomo. L’uomo che “ha delle domande di senso insopprimibili, che ha in sé il desiderio di vivere in pienezza ogni aspetto della vita: l’amore, l’amicizia, le relazioni, il lavoro, l’impegno nella società… L’uomo che, in ultima analisi è aperto a una dimensione trascendente della vita e che si sente inquieto fino a che non riesce a trovare una risposta globale alle sue domande, quel qualcosa che dà senso a tutto” (Card. Farrell nel XX anniversario della morte di don Luigi Giussani).

    L’uomo credente e, in particolare al riguardo Achille Ratti, arriva a offrire la propria vita per la pace. Nel radiomessaggio del 29 settembre 1938 così si esprime Pio XI: “Indicibilmente grati per le preghiere che per Noi sono state fatte e si fanno dai fedeli di tutto il mondo cattolico, questa vita, che in grazia di tali preghiere il Signore Ci ha concesso e quasi rinnovato, Noi di tutto cuore offriamo per la salute e per la pace del mondo, o che il Signore della vita e della morte voglia toglierci l’inestimabile già lungo dono della vita o voglia invece prolungare ancor più la giornata di lavoro all’afflitto e stanco operaio…”. Un intervento che, segnato dal linguaggio del tempo, ha un’attualità straordinaria perché descrive la santità di questo uomo che, in nome del Vangelo, è operatore di pace non solo con proclami, ma con l’offerta della propria vita, per scongiurare l’ormai imminente secondo conflitto mondiale che poi farà milioni di vittime e catastrofiche distruzioni.

    Eppure, alcuni continuano a ritenere inevitabili le distruzioni per ripartire!

  • Il Giubileo: pausa salutare

    Il Giubileo: pausa salutare

    I nostri ritmi quotidiani sono caratterizzati da impegni e scadenze ravvicinate (al punto da non riconoscere ciò che è importante) oppure da giornate passate nella solitudine e nello sconforto. Non tutti vivono contemporaneamente la stessa situazione di vita! A partire da questa constatazione viene da chiedersi cosa rende la vita interessante.

    Nel discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio, l’Arcivescovo Mario affermava: “Il Giubileo segna il tempo e invita a una pausa nel nostro ’fare’, in cui potersi porre le domande veramente essenziali: che cosa ho ricevuto?
    Che ne ho fatto? Che cosa ho generato? Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? (Mt 16,26)
    ”.

    L’anno di fede iniziato è un’opportunità per interrogarsi su ciò che è essenziale per vivere ogni stagione della vita, da quelle piene di impegni, ai giorni della solitudine e dell’improduttività. È un tempo anche per riposare, ma non per annoiarsi.

    È sempre l’Arcivescovo Mario ad affermare: “Il Giubileo contiene un messaggio di giubilo, di gioia, di sollievo che deve interpretare la stanchezza della gente, della terra, della città come appello, provocazione, indicazione di cammino”.

    In particolare, il mese che abbiamo davanti ci permette di tornare sulle domande essenziali, accompagnati da alcune occasioni che diventano riposo nella misura in cui non ci lasciamo fagocitare dalla buona riuscita o, all’opposto, dalla noia della ripetitività.

    • la Festa della Famiglia di oggi 26 gennaio, è l’opportunità per riconoscere quanto la nostra famiglia è un luogo di speranza, dove ringraziare per quanto riceviamo e offriamo, dove pensare la pace, cercarla, operare per la pace proprio a partire dalle relazioni familiari.
    • la settimana dell’educazione, che si concluderà il 31 gennaio con la Messa alle 21 in Basilica nella festa di San Giovanni Bosco, è il momento per condividere la gioia di educare ad essere educato anche attraverso la realtà dell’oratorio.
    • la giornata per la promozione della vita del 2 febbraio è l’occasione per interrogarci su cosa abbiamo generato, su come siamo amici della vita in ogni sua stagione e situazione e sulla gratuità con cui siamo trasmettitori di vita.
    • l’anniversario dell’elezione a Papa (6 febbraio 1922) e al tempo stesso della morte (10 febbraio 1939) di Pio XI e di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005), entrambi desiani, è uno stimolo di riflessione sui messaggi che ci arrivano da veri testimoni del Vangelo delle beatitudini.

    Vivere insieme queste oasi di riposo e di interrogativi salutari è occasione di Giubilo!

  • Se fossi un personaggio del presepe?

    Se fossi un personaggio del presepe?

    I personaggi che popolano il presepe sono tanti! Ognuno ne può aggiungere altri al punto che, in alcuni luoghi, ogni anno viene proposta una nuova statuina da collocare tra quelle già esistenti.

    Alcuni personaggi sono indispensabili.

    Non c’è racconto della nascita senza Maria e Giuseppe che, stupiti, si lasciano interrogare da quanto sta accadendo. Non c’è presepe senza i pastori che, accogliendo il canto degli angeli, si dirigono con il gregge verso Betlemme; senza chi porta frutti della terra e del lavoro al Bambino; senza i Re partiti da lontano che, guidati da una stella, si dirigono, tra momenti di sicurezza e altri di incertezza, verso l’oscura città di Betlemme. Non c’è presepe senza Erode che, con un esercizio spietato del potere, vorrebbe spegnere ogni luce del racconto natalizio. Non c’è presepe senza l’asino, il bue e tanti altri personaggi.

    Con un po’ di attenzione si può affermare che non c’è presepe senza di noi, senza di te e di me. In fondo è condivisibile quanto afferma don Primo Mazzolari, profeta negli anni ’50 di una Chiesa ancora popolare: “Il mondo è in cerca di gioia, ha diritto di accorgersi che, con il Natale di Gesù, la gioia è entrata nel mondo… Coloro che credono in Lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravedere la sorgente inesauribile della perfetta letizia”.

    In altre parole, tutti i personaggi del presepe sono attratti dal protagonista del Natale, dall’Emmanuele, il Dio con noi che, nel segno povero di un Bambino deposto in una mangiatoia si fa presenza.

    Dal riconoscimento di questa presenza nasce il popolo degli uomini e donne lieti. Lieti non perché senza problemi, affanni, fatiche e solitudini, ma perché hanno incontrato la sorgente della gioia che non lascia senza conseguenze, che non ci permette più di vivere come se Dio non ci fosse!

    Con un pensiero di un prete poeta, don Angelo Casati, possiamo affermare che l’origine della gioia condivisa è l’infinita tenerezza di Dio: “Chissà se ce ne siamo accorti. Il segno del presepe non è il segno della potenza che atterrisce, non ci sono troni: c’è il segno della semplicità, dell’infinito della semplicità; il segno della povertà, dell’infinito della povertà; il segno della tenerezza, dell’infinito della tenerezza. Niente spaventi. Il segno è quello della nascita di un bambino. A incantarti è la vita, sono gli occhi di quella madre e di quel padre, a parlarti non sono i palazzi, è quella mangiatoia, sono quelle fasce, cose da pastori, cose familiari a quei pastori. I pastori riferirono l’inimmaginabile: un Messia in fasce, nella mangiatoia, il Messia nella tenerezza.” Ecco perché non possiamo non esserci nel presepe della vita quotidiana. Ecco perché non possiamo più non essere lieti nel Signore!