II Domenica dopo Pentecoste

Nelle domeniche dopo Pentecoste, nel rito ambrosiano si ripercorre nella prima Lettura la storia della salvezza, l’amore del Signore per le sue creature. Il primo atto di amore è la creazione: un amore che crea tutto il mondo, che provvede alle creature e che si esprime in particolare nella misericordia. La prima lettura fa notare la sproporzione tra Dio creatore e l’uomo creatura: l’uomo è una goccia d’acqua nell’oceano, pochi giorni di vita di fronte all’eternità, ma Dio conosce la nostra povertà, le nostre debolezze ed effonde su di loro la sua misericordia.

Paolo sottolinea il profondo legame tra il creato e l’uomo che è la creatura più alta: il suo rifiuto porta alla ribellione anche del creato. Il peccato introduce nel mondo sofferenza, fatica, dolore e morte e l’uomo salvato deve contribuire perché il creato ritorni al disegno originario di Dio: il lavoro, l’ecologia, il progresso non devono rovinare il mondo, ma prepararci quei cieli nuovi e terra nuova che saranno alla fine. Il Vangelo ci dice che Dio non solo ci ha amati nel crearci, ma continua ad amarci: provvede alla nostra vita, nutre gli uccellini che non seminano, i gigli del campo che non filano, ma hanno vestiti più belli di quelli di Salomone. L’uomo non deve preoccuparsi, perché il Padre sa di cosa abbiamo bisogno.
Gesù non insegna una provvidenza fatalista che disimpegna: nel Vangelo si parla di talenti che vanno trafficati, di gente che aspetta il Signore dandosi da fare, in particolare nel comandamento dell’amore.

Oltre ad avere fiducia nel Padre, Gesù chiede la nostra collaborazione nel suo lavoro di provvidenza: dobbiamo essere noi segni dell’amore del Padre, interessarci degli altri, degli ultimi, riscoprendo il suo volto in quello dei poveri. Il giudizio finale sarà basato su come siamo stati provvidenza per gli altri. “Ero povero, malato, nudo, straniero, carcerato…e tu che cosa hai fatto?” Che sia veramente così per ciascuno di noi.

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