Ogni giorno ascoltiamo e pronunciamo migliaia di parole. Spesso sono parole che offendono e diventano contraddittorie. Parole che possono denigrare o scoraggiare, parole che non sanno raccontare niente.
La rete, i social e molti strumenti di comunicazione non cercano parole capaci di sostenere, maturare, incoraggiare, ma semplicemente pronunciano parole a volte insignificanti, senza corrispondenza alla realtà e finalizzate a cercare “audience”, se non vere e proprie conflittualità. Alludere, insinuare sospetti, produrre “fake news” è uno dei tratti tipici di certe forme di comunicazione.
Anche nei nostri contesti non sempre è possibile capire se quanto viene affermato descrive la realtà oppure nasconda inerzie e incapacità ad affrontare problemi e trovare soluzioni. Molte parole sono inutili, fuorvianti, dette per rimandare scelte e decisioni necessarie per il bene di una comunità. Il linguaggio della burocrazia, a volte sembra creato apposta per non favorire comprensione e impedire di passare dalle parole ai fatti, per salvaguardare interessi parziali a immobilizzare decisioni necessarie ad uno sviluppo di una data realtà.
Senza escludere che vi sono ancora parole “belle”, “buone” e “vere” nel cuore e sulle labbra di molti, noi discepoli di Gesù non possiamo che cercare di essere uomini e donne di Parola. Nel senso di essere pronti a rendere ragione della speranza che è in noi per dare volto a ciò che motiva, sostiene e incoraggia. Per dare volto alle parole che prendono vita dalla Parola che non banalizza ne inganna: Gesù Parola fatta carne e concretezza del volto di Dio.