II Domenica dopo il martirio di S. Giovanni
L’immagine che lega le letture della liturgia di oggi è quella della vigna: il popolo di Israele è la
“vigna” scelta ed amata dal Signore, che non dà i frutti sperati; la vigna è il Regno di Dio a cui
tutti siamo chiamati a lavorare e che richiede la nostra risposta. La vigna è un dono, è una scelta
d’amore gratuito di Dio che, però, esige di essere accolto, fatto fruttificare. Quindi non interessa per la salvezza se siamo figli di Abramo o cristiani, se conosciamo bene il Vangelo o sappiamo parlare bene.
Quello che interessa sono le nostre scelte quotidiane più o meno coerenti al Vangelo. Se Gesù avesse narrato questa parabola al giorno d’oggi, dice un commentatore, probabilmente avrebbe parlato non solo di due figli, ma di ben quattro. Un terzo figlio, alla proposta del Padre di lavorare nella vigna, avrebbe chiesto tempo, un confronto a tavolino, uno studio della situazione, un dossier sulla vigna, magari lamentandosi del degrado di essa e poi, forse, non sarebbe neppure passato all’azione. Sono così certi cristiani che con la scusa che la Chiesa non è quella che
dovrebbe essere, non si sporcano mai le mani per cambiarla. Il quarto figlio, infine, sarebbe quello che non dice neppure di sì. Nel silenzio ascolta il Padre e, nel nascondimento, lavora, assomigliando a Gesù che si è incarnato, si è spogliato della sua divinità, si è fatto uno di noi vivendo per 30 anni una vita normale di famiglia e di lavoro.
Come la gente umile, senza pretese, senza etichette, che nel silenzio, assiste anziani, malati, che
evangelizza con la sua testimonianza. Dovremmo tutti appartenere a quest’ultima categoria.
don Alberto