La pagina di vangelo di oggi è spesso ridotta ad un invito generico di Gesù ad avere compassione per chi ha bisogno. Dovremmo chiederci se, di fronte ad un povero o ad un bisognoso, saremmo disposti a spendere tempo e soldi come il samaritano.
Alla domanda “che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù esalta i due comandamenti che sono l’uno prova dell’altro: il primato è per Dio (v. 1a Lettura), ma l’amore verso Dio deve riflettersi sul prossimo.
Non è sempre così: il modello della carità è un samaritano, ritenuto un impuro per razza e per fede, e non un dottore della legge, un fariseo o uno del clero.
Alla domanda “chi è il mio prossimo?”, Gesù non risponde con un elenco di persone, ma ricorda che prossimo è la persona che vuole amare. Ed è un amore che non ha misura: attento, premuroso, disponibile, concreto. Il Card. Martini nella sua Lettera pastorale Farsi prossimo, indicava tre pericoli: la fretta (non si ha tempo per scoprire le povertà), la paura (di essere più coinvolti nel dono di sé) e infine, l’alibi e la delega, (ho altro da fare, e quindi deleghiamo la Caritas…).
La carità è qualcosa di essenziale alla vita cristiana.
L’amore del samaritano è l’amore del Signore: ha compassione, si fa uno di noi per guarirci dal peccato, e diventa pane per noi. Chiediamo a Gesù, buon samaritano, di rendere il nostro cuore capace di vera “com-passione”, di soffrire con le persone vicine, di donare il nostro tempo e il nostro aiuto, ma soprattutto il nostro cuore. don Alberto