Categoria: News

  • Testimoni

    Testimoni

    24 marzo, giornata dei Martiri

    “È doloroso ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata. Sono tanti: i martiri di oggi sono più dei martiri dei primi secoli. Esprimiamo a questi fratelli e sorelle la nostra vicinanza: siamo un unico corpo, e questi cristiani sono le membra sanguinanti del corpo di Cristo che è la Chiesa.”
    Papa Francesco, udienza generale del 29 aprile 2020

    Il termine martire vuole dire Testimone. Tertulliano diceva: “Il martirio dei cristiani è il seme dei nuovi cristiani”. Il martirio è una grazia, un segno della libertà suprema come afferma Oscar Romero: “Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà.”
    Non esisterà un momento in cui la Chiesa vivrà senza il martirio. Se non c’è il martirio la Chiesa si deve interrogare sulla sua dimensione profetica. Ricorda papa Francesco: “Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù” (11 dicembre 2019).
    Il cristiano si schiera dalla parte dei poveri e degli ultimi rinnegando, perciò, tutto ciò che è contrario al vangelo: ogni forma di povertà, di miseria, di esclusione, di disuguaglianza sociale, di discriminazione o di emarginazione che disumanizza l’Uomo. Quando la persona umana è calpestata nella sua dignità, quale posizione prendo: mi impegno oppure taccio (sono indifferente)?
    Schierarsi dalla parte degli ultimi implica la possibilità di pagare con la propria vita: nella famiglia, sul luogo di lavoro, sulla metro/treno, nelle università. Tutti siamo esposti al martirio se prendiamo sul serio il nostro essere discepoli di Cristo. Possiamo misurare il nostro essere discepoli di Cristo leggendo con serietà Fratelli Tutti che ci invita a vedere le ombre di un mondo chiuso, quindi imitare il buon samaritano (Lc 10) che apre gli occhi su ogni fratello abbandonato lungo la strada per creare un mondo aperto e per coniugare il valore dell’identità locale con il valore dell’umanità universale nell’ambito politico, sociale ed ecclesiale. Questa amicizia sociale/universale implica l’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro tra credenti di diverse religioni e culture.
    Per concludere, sono fermamente convinto che donne, uomini laici e religiosi subiscono umiliazioni e persecuzione perché hanno trovato l’autore del senso della loro vita: Cristo che si riflette nei piccoli e affermano senza vergogna come diceva Nelson Mandela: “Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. È un ideale che spero di vedere realizzato, se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire perché chi non ha un ideale per morire non ne avrà uno per vivere”.
    Un essere umano, quando muore, muore due volte. La prima volta quando è morto fisicamente. E la seconda quando è dimenticato; ricordare il nome degli uccisi, dar loro un ricordo più a lungo, non solo della loro breve vita, ma anche della lunga vita che avrebbero avuto il diritto di vivere. Ricordare è fare vivere con noi anche coloro che abbiamo perduto.

    Il coraggio delle idee

    Suor Lucia Pulici, Suor Maria Laura Mainetti e Don Roberto Malgesini:
    tre emblematiche figure per rappresentare quello che la giornata dei martiri missionari ci mostra, ovvero una testimonianza di vita con le opere, senza timore

    Dare la vita per un ideale: il 24 marzo di ogni anno è indissolubilmente legato a quello del 24 marzo 1980 quando Monsignor Oscar A. Romero, Vescovo di San Salvador (centro America) venne ucciso mentre celebrava la Messa. Dal 1993 si ricorda l’evento nella giornata dei martiri missionari e per la Chiesa italiana, questo evento, si trasforma in un momento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi in varie parti del mondo. Cosa che vogliamo fare anche noi, ricordando tre figure che ci hanno accompagnato ed interrogato: suor Lucia Pulici e suor Maria Laura Mainetti, due nomi vicini alla realtà della nostra comunità pastorale ed un altro legato ad un accadimento temporalmente recente: don Roberto Malgesini, definito “Un martire della carità”. Tutte sono storie che mostrano grande fede e coraggio.

    7 anni fa, nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2014 la nativa desiana del 1939 Lucia Pulici, insieme ad altre due Suore Saveriane missionarie in Burundi, Bernardetta Boggian e Olga Raschietti, vennero assassinate a Kamenge, nella periferia di Bujumbura, la capitale. Oggi il luogo è diventato la casa di Suor Lucia Pulici per la preghiera. Queste donne avevano deciso di restare in una situazione non facile, di guerra civile, sapendo i rischi che correvano, per essere segno dell’amore di Dio per il suo popolo e della sua umanità. I missionari non scappano, ma rimangono, anche quando politici e diplomatici lasciano il campo.

    CHIAVENNA OMICIDIO SUORA SUOR MAINETTI MARIA LAURA 70

    21 anni fa, invece, l’instancabile Suor Maria Laura Mainetti nata nel 1939, della congregazione delle Figlie della Croce, che per tanti anni sono state presenti a San Giorgio, è stata assassinata da tre ragazze durante un rito satanico nel 2000. Vi è stata adescata con una trappola: voleva dare una mano ad una ragazza in difficoltà. Le consorelle l’hanno ricordata come una persona che amava tutti, ma i suoi «prediletti» erano gli ultimi, in loro vedeva il Cristo sofferente. Il processo di beatificazione si è aperto nel 2008 e chiuso nel 2020.

    Più recenti sono i fatti riguardanti don Roberto Malgesini, nato a Morbegno nel 1969, noto per l’impegno nei confronti dei senzatetto a Como.
    «Acqua cheta, pozzo profondo. Ti ricordo con un proverbio, caro “Gesini” (il soprannome che ti avevano affibbiato in seminario) – ha ricordato don Angelo Riva sul Il Settimanale di Como – “Acqua cheta” perché non amavi fare chiasso: preferivi il mormorio di un vento leggero, soave. Sembrava a volte che tu chiedessi scusa per il solo fatto di esserci. La voce la tenevi sempre bassa, quasi un sussurro. Frequentemente abbassavi gli occhi a terra, come fossi un intruso. Il sorriso non ti lasciava mai, ma era mite, appena pronunciato, il contrario di una risata grassa e sguaiata. Come se ci chiedessi il permesso di sorridere. Litigare con te era praticamente impossibile, neanche a mettercela tutta. Eri un pozzo di bontà. E questo rende ancor più lunare la tua morte violenta. Sono convinto che neanche lì avrai alzato il tono della voce. Anche lì con un sorriso tenue sarai andato incontro al fendente mortale».
    Poche parole, ma che aiutano a cogliere chi era don Roberto, come ha ricordato Marco Gherbi, prossimo al diaconato permanente, che lo conosceva: «La sua passione erano gli ultimi, ma non gli ultimi come siamo abituati a pensarli, quelli con il problema del lavoro, della casa, del cibo, delle fatiche di vivere, che aiuti a rialzarsi. No: proprio gli ultimi tra gli ultimi, quelli che già sono caduti più volte e hanno perso la speranza – ha raccontato – Se n’è andato lo scorso settembre, prima di poter compiere un’ultima volta quel suo servizio ai fratelli. Ha lasciato un grande vuoto nel cuore di tanti che gli erano accanto e tutti noi sicuramente sentiamo di aver perso un amico. Resta la sua voce profetica, fatta di tanti silenzi e di molti gesti di tenerezza, su cui meditare e pregare».
    Queste vite sante non devono solo lasciarci a bocca aperta, ma devono essere esempio, per vedere come è possibile vivere una fede autentica, fatta di coerenza e pace con il proprio io.
    Eleonora Murero

  • MISSIONARI UCCISI NELL’ANNO 2020

    MISSIONARI UCCISI NELL’ANNO 2020

    Nell’anno 2020, secondo le informazioni raccolte dall’Agenzia Fides, sono stati uccisi nel mondo 20 missionari: 8 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 2 seminaristi, 6 laici. Negli ultimi 20 anni, dal 2000 al 2020, sono stati uccisi nel mondo 535 operatori pastorali, di cui 5 Vescovi.

    GLI OPERATORI PASTORALI UCCISI DAL 1980 AL 2019

    Secondo i dati in possesso dell’Agenzia Fides, nel decennio 1980-1989 hanno perso la vita in modo violento 115 missionari. Tale cifra però è senza dubbio in difetto poiché si riferisce solo ai casi accertati e di cui si è avuta notizia. Il quadro riassuntivo degli anni 1990-2000 presenta un totale di 604 missionari uccisi, sempre secondo le nostre informazioni. Il numero risulta sensibilmente più elevato rispetto al decennio precedente, tuttavia devono essere anche considerati i seguenti fattori: il genocidio del Rwanda (1994) che ha provocato almeno 248 vittime tra il personale ecclesiastico; la maggiore velocità dei mass media nel diffondere le notizie anche dai luoghi più sperduti; il conteggio che non riguarda più solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare le persone che gli erano affidate. Negli anni 2001-2019 il totale degli operatori pastorali uccisi è di 485.

    In questo periodo, flagellato dalla pandemia di Coronavirus, non possiamo dimenticare che “tra le membra sanguinanti del corpo di Cristo” vanno annoverati centinaia di sacerdoti e di religiose, cappellani ospedalieri, operatori pastorali del mondo sanitario, come anche Vescovi, che sono venuti a mancare durante il loro servizio, prodigandosi per aiutare coloro che erano colpiti da questa malattia nei luoghi di cura o per non ridurre il loro ministero. I sacerdoti sono la seconda categoria, dopo i medici, che più ha pagato in Europa il suo tributo al Covid. Secondo un rapporto parziale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, da fine febbraio a fine settembre 2020 sono morti nel continente a causa del Covid almeno 400 sacerdoti. Tra questi non sono pochi i missionari e le missionarie che dopo aver consumato lunghi anni in terra di missione annunciando il Vangelo di Gesù Cristo, sono morti colpiti dal virus, che ha avuto il sopravvento sul loro fisico, logorato da una vita trascorsa per gran parte tra le privazioni e le difficoltà delle missioni.

  • Vite intrecciate

    Vite intrecciate

    Per celebrare la ventinovesima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri abbiamo scelto lo slogan 
    Vite intrecciate.
    Il missionario martire è tessitore di fraternità: la sua vita si intreccia con quella dei popoli e delle culture che serve e incontra. L’umanità intera intreccia la propria esistenza con quella di Cristo, riscoprendosi così tralci della stessa vite.

    Manifesto-Martiri-2021

    La veglia è occasione per ringraziare il Signore delle vite donate dei nostri fratelli e sorelle nel mondo. La celebrazione del martirio è l’atto di fede più alto in assoluto. Gesù sulla croce è morto per noi. I missionari martiri, come il Maestro, resistono di fronte a situazioni difficili fino alla morte, non come eroi, ma come compagni di strada delle popolazioni che sono chiamati a servire.
    È nel servizio, lo spirito del dono di sé, la testimonianza concreta di quella fede che hanno abbracciato e portato avanti con tenacia.

    Celebriamo la veglia per i Martiri Missionari nella chiesa
    dei Santi Pietro e Paolo, Via Santa Caterina – Desio Venerdì 26 marzo alle ore 20,30 (verrà trasmessa anche in streaming)

  • Traditio Symboli

    Traditio Symboli

    L’espressione latina Traditio Symboli trae origine dal cammino catecumenale: fin dai tempi antichi esso prevedeva la “consegna del Credo” ai catecumeni che si impegnavano a renderlo concretamente presente nella propria vita.

    Manifesto-Traditio-Symboli-2021-Zona-V

    Ecco perché la veglia celebra la consegna del patrimonio prezioso della fede ai catecumeni e ai giovani da parte della Chiesa: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1 Gv 1,3).

    Quest’anno a causa della pandemia non potremo ritrovarci tutti insieme. L’Arcivescovo presiederà la celebrazione in Duomo.

    Gli altri gruppi giovanili diocesani ed i loro educatori sono invitati a seguire la veglia di preghiera attraverso la DIRETTA TV e WEB di SABATO 27 MARZO che sarà trasmessa alle ore 20.00 su Chiesa Tv (canale 195 del digitale terrestre), sul portale www.chiesadimilano.it e sul canale youtube.com/chiesadimilano.
    In differita su Radio Mater alle ore 21.10.

  • Quando Cristo non è un lusso

    Quando Cristo non è un lusso

    Mentre ci chiediamo se siamo rossi, arancioni o gialli, ci potrebbe sfuggire che una classificazione simile è stata fatta – a partire dal rapporto World Wacht List 2021 e dai dati di Aiuto alla Chiesa che soffre – sui paesi dove è in atto la persecuzione dei cristiani.

    Essa si qualifica come assoluta (nero: Corea del Nord), estrema (rosso: tra altri India, Arabia Saudita, Libia), severa (arancione scuro: per es. Cina, Myanmar, Algeria), moderata (arancione chiaro: Turchia, Etiopia e altri), occasionale (giallo: Uganda, Indonesia, ecc.).

    Secondo quel rapporto, presentato alla Camera, nel 2020 sono stati uccisi 4.761 cristiani (13 al giorno), 4.277 arrestati senza processo e incarcerati, 1.710 rapiti. Anche il britannico Foreign Office afferma che un terzo della popolazione mondiale soffre di persecuzioni religiose e che i cristiani sono il gruppo più numeroso.

    In sintesi: oggi un cristiano su sette vive in terre di persecuzione, rischiando di perdere i propri beni o la vita, sotto l’attacco di radicalismi o la pressione di regimi liberticidi. In Cina non si può svolgere attività religiosa se si hanno meno di 18 anni. Altrove diventa difficile per un cristiano trovare un posto di lavoro o vedere difesi i propri diritti in caso di prepotenze o prevaricazioni di soggetti pubblici o privati. Molti, come accaduto in Iraq, sono stati costretti a emigrare.

    Ma Cristo per loro non è un lusso: continuano a professare la fede in Lui, senza lasciarsi mettere in angolo dalle difficoltà.

    don Gianni

  • Domenica detta “del cieco nato”

    Il tema che lega le letture di questa domenica è la luce.

    La luce è il dono della vista e della fede che Gesù fa al cieco dalla nascita (Vangelo). Ora di fronte alla luce, che è Gesù, c’è chi apre gli occhi, e c’è chi fa finta di non vedere, come i farisei che rifiutano Gesù perchè rivela un Dio troppo diverso dai loro schemi. Anche oggi si ripete questa situazione: c’è chi rifiuta a priori il mistero di Dio o che questo possa rivelarsi; non accettiamo un Dio che non interviene per distruggere i cattivi; in particolare, poi, rifiutiamo che il Signore possa servirsi di persone umili, semplici, per richiamarci al senso vero delle cose e della vita.

    C’è chi non vuole fare una scelta definitiva per non sentirsi coinvolto e compromesso: è l’atteggiamento di quando diciamo, “credo, ma ho una mia morale”, quando confondiamo il rispetto degli altri, con la paura a manifestare le nostre idee.

    Ma c’è chi accoglie questa luce e crede. È l’atteggiamento del cieco, una persona alla ricerca di uno che lo salvi. È disposto a tutto pur di riavere la vista, ed è premiato con la guarigione e il dono della fede. Una fede che matura a mano a mano, dichiara il cieco: quell’uomo è un profeta, viene da Dio.

    Chiediamoci a chi assomigliamo: ai farisei che non si lasciano mai mettere in discussione? O al cieco, che è disponibile a scoprire quanto il Signore fa per lui ed è coraggioso nel testimoniare la sua fede a tutti?

    don Alberto

  • San Giuseppe,  l’uomo che passa  inosservato

    San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato

    A 150 anni dalla proclamazione , per opera di Pio IX, a Patrono della Chiesa universale, Papa Francesco ci ricorda nella sua Lettera apostolica Patris corde (con cuore di padre), la figura di San Giuseppe e gli dedica un anno speciale, con indulgenza plenaria, fino all’8 dicembre 2021.

    «Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà», assicura Francesco, secondo il quale «San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza».
    In questo testo Papa Francesco usa diverse definizioni che vogliamo qui riportare.
    Padre amato: per il suo ruolo nella storia della salvezza San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano.
    Padre nella tenerezza: Giuseppe ci insegna che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca.
    Padre dell’obbedienza: in ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo “fiat”, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani.
    Padre dell’accoglienza: tante volte, nella nostra vita accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire misterioso, egli lo accoglie. La vita spirituale che ci mostra non è una via che si spiega, ma una via che accoglie. Inoltre ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole.
    Padre del coraggio creativo: Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione. Egli è il vero “miracolo” con cui Dio salva il Bambino e sua madre. Il figlio dell’Onnipotente viene nel mondo e si fa bisognoso di Giuseppe per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si fida di quest’uomo.
    In questo senso San Giuseppe non può non essere il Custode della Chiesa.
    Padre lavoratore: il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità. Imploriamo San Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare le strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!
    Padre nell’ombra: lo scrittore polacco Jan Dobraczynski definisce la figura di Giuseppe nei confronti di Gesù, l’ombra sulla terra del Padre Celeste e così ne ha esercitato la paternità per tutta la sua vita. Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti.
    Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto.
    Cari uomini, a giorni sarà la festa di San Giuseppe. Solitamente festeggiamo anche la festa dei papà, ma davanti a questa figura che prima è stato uomo, poi sposo e padre mi sembra doveroso estendere una preghiera particolare a tutti gli uomini, indistintamente.
    Dedico a voi tutti un brano di Don Tonino Bello, tratto dal libro “Il vangelo del coraggio”.
    Più che un brano è una poesia che diventa preghiera:
    “Dimmi Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse in un mattino di primavera mentre tornava dalla fontana del villaggio…?
    O forse un giorno di sabato mentre conversava sotto l’arco della sinagoga? Quando ti ha ricambiato il sorriso e poi tu la notte hai intriso il cuscino con lacrime di felicità…?
    Poi una notte sei andato sotto la sua finestra e le hai cantato le strofe del Cantico dei Cantici. E la tua amica si è alzata davvero, ti ha preso la mano nella sua e lì, sotto le selle ti ha confidato un grande segreto. Ti ha parlato di un angelo del Signore, di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo.
    Solo tu il sognatore potevi capirla. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando “per me rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi Maria”.
    Lei rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente”.
    Auguri e che il Signore benedica tutti voi!

  • Le “attività caritative” Questo il tema al centro della riunione del Consiglio Pastorale cittadino

    Martedì 2 marzo 2021 si è riunito in modalità online il Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale di Desio. Dopo un primo momento di preghiera iniziale e la lettura del verbale della precedente riunione, le Commissioni che compongono il Consiglio Pastorale hanno presentato alcuni aggiornamenti sulle rispettive attività in corso e hanno posto uno sguardo sul prossimo futuro alla luce dell’attuale emergenza sanitaria in corso.
    In seguito, i consiglieri sono stati invitati a volgere lo sguardo sulle attività caritative nelle parrocchie e nella vita dei cristiani. A favorire questo dialogo, un documento presentato dalla responsabile dei Centri d’Ascolto cittadini, Rita Galimberti, che ha illustrato le emergenze attuali alla luce dei bisogni e delle criticità che emergono in questo particolare periodo storico.
    I consiglieri hanno quindi lavorato in piccoli gruppi, cercando di analizzare la situazione attuale e avanzando alcune proposte che saranno approfondite nei prossimi lavori del Consiglio, anche con una particolare attenzione ai giovani e al loro impegno nel settore della carità.
    Ciascun gruppo ha presentato una sintesi della discussione che formerà oggetto di un prossimo approfondimento.

  • L’abbraccio del Padre,  un grande abbraccio

    L’abbraccio del Padre, un grande abbraccio

    È così che abbiamo cercato di spiegare il Sacramento della Riconciliazione ai nostri bambini. Il catechismo proponeva a questo scopo due momenti: la parabola della pecora smarrita, in cui, di fronte a chi si allontana, il pastore reagisce andandolo a cercare e riaccogliendolo nel gregge, e la parabola del Padre misericordioso dove questo padre, nonostante tutto, è sempre pronto ad accogliere con il suo amore il figlio che si è allontanato da lui.

    Il percorso aveva lo scopo di abituare i ragazzi a raccontare la propria esperienza, guidandoli a comprendere e individuare i peccati per cui chiedere perdono, leggendo la qualità delle loro relazioni con Dio, con se stessi, con gli altri e con il mondo. In questo contesto è stato efficace l’utilizzo dell’immagine della croce: le sue braccia sono protese verso l’alto (Dio), orizzontali (se stessi e gli altri) e verso il basso (il mondo).

    Abbiamo molto insistito affinché la coscienza del peccato non servisse a generare nei bambini sensi di colpa, ma desiderio di ritornare all’amore del Padre riconoscendo le proprie mancanze, senza dimenticare che il perdono ricevuto è fonte di gioia anche per tutta la comunità della Chiesa. Abbiamo cercato di aiutarli a rileggere le loro azioni confrontandole con i tratti della vita di Gesù, insistendo per questo con la necessità di partecipare alla Messa della domenica, per individuare il peccato, che consiste appunto nell’allontanarsi da Lui. Speriamo di averli guidati a vivere l’esame di coscienza come profondo dialogo con il Signore e non come freddo elenco di regole trasgredite.

    A fronte di questo nostro impegno, i bambini hanno reagito con tanta emozione soprattutto nel momento della celebrazione, durante la quale è stato commovente l’abbraccio finale con i propri familiari. Speriamo sia giunto chiaro ai ragazzi quanto grande è la bontà e la misericordia di Dio Padre che, col suo perdono, ci riconcilia con Lui, con noi stessi e i nostri fratelli.

    Marina Doni

  • Elemosina e crisi dimenticate

    Elemosina e crisi dimenticate

    In parrocchia troverete un raccoglitore per le offerte che contribuiranno
    al progetto di aiuto per il Sud Sudan

    Uno dei pilastri del periodo quaresimale è l’elemosina e viene spontaneo pensare al “fare” l’elemosina, ovvero prendere una moneta e metterla in un cestino. Ma cosa cambia in me questo gesto? In pratica nulla, io mi sento tranquillo perché “ho dato”, non importa se non so niente di quello che si farà con la mia offerta, è compito di altri, non so nemmeno di chi. Non penso nemmeno che quel “dare” del mio superfluo risponde solo a un obbligo di giustizia, un atto dovuto per ogni essere umano.

    Altra cosa invece è condividere l’essenziale, qualcosa di importante della nostra vita. “Non posso restare indifferente al grido di disperazione di tante persone, affamate non solo di pane ma di dignità”, ripete in continuazione Papa Francesco. Condividere significa conoscere la realtà, informarsi, aprire gli occhi: gli strumenti li abbiamo, nessuno può dire di non sapere di quanto accade intorno a noi e nel mondo intero. Condividere è accorgersi dell’altro, interessarsi al mio prossimo, anche quando vive distante da me.

    In questo periodo Caritas Ambrosiana ci chiede di dirigere il nostro sguardo verso una delle centinaia di crisi dimenticate nel mondo, guerre o emergenze umanitarie che scorrono quotidianamente nel silenzio generale.
    Parliamo del Sud Sudan, uno dei paesi più giovani al mondo, diventato indipendente dal Sudan da 10 anni. Ha 13 milioni di abitanti e, a più della metà, manca dell’essenziale per vivere per una vita dignitosa, è in continua fuga, dalle violenze, dalle cicliche inondazioni, dalle malattie, Covid compreso. La gente non sa come si vive in pace -dice Nicoletta Sabetti di Caritas italiana- e le cifre parlano di almeno 500mila vittime delle guerre di questi anni. Nonostante il paese sia ricco di risorse naturali manca tutto, strade, acqua, luce, medicine e la gente è costretta a fuggire nei campi profughi, spesso in altri paesi come l’Uganda. Ma al tempo stesso mantiene la speranza di riprendersi con le proprie forze. Caritas rimane al loro fianco, con programmi che vogliono formare e coinvolgere le persone nella costruzione di progetti sociali come orti collettivi, piccole fattorie, scuole. Investire non solo nelle strutture ma sulle persone, sui giovani, per un avvenire di pace.

    Sfruttiamo l’occasione che ci viene data dal gesto di carità proposto in questa quaresima. Usciamo dal nostro piccolo mondo e condividiamo quanto abbiamo e ciò che siamo con chi non ha nulla, allargando il nostro sguardo ai bisogni dell’altro, sia esso il nostro vicino o la gente del Sud Sudan.

    Vito Bellofatto