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Pronti a pensarci come “Chiesa dalle genti”
Dopo una prima fase di ascolto capillare, il Sinodo diocesano entra ora in un momento successivo, cruciale per il suo sviluppo. È agli sgoccioli l’invio degli esiti della consultazione di base (frutto del lavoro di confronto e di ascolto fatto dalle parrocchie, dagli operatori della carità, dai preti e dal mondo della vita consacrata; ma anche da parecchie istituzioni educative, come pure da amministratori locali e dai migranti stessi), che ha fatto giungere alla commissione centinaia di risposte. Mostreremo i numeri e la consistenza di questa fase nelle tracce di riflessione che predisporremo per il consiglio presbiterale e pastorale diocesano.
La commissione in queste settimane è concentrata e al lavoro per stendere le sintesi e i testi che faranno da guida al momento strettamente sinodale, vissuto dai due consigli diocesani. Sono tante le indicazioni e i suggerimenti che ci sono giunti, come pure le indicazioni di fatiche e punti di tensione su cui lavorare. Emerge tuttavia con sempre maggiore lucidità un punto che fa da architrave al cammino che stiamo costruendo insieme: per essere all’altezza del cambiamento che la Chiesa di Milano sta vivendo non basta immaginare delle aggiunte o delle integrazioni agli stili che disegnano il nostro volto ecclesiale e la nostra vita di fede. Con più semplicità ma anche con maggiore coraggio occorre invece prepararci e a cambiare, a ripensarci come soggetti diversi, frutto di quel “noi” che è il risultato dell’azione di attrazione che il Crocifisso risorto continua ad esercitare nelle nostre vite e nella storia.
Un simile cambiamento non avviene a tavolino e nemmeno sarà frutto soltanto di documenti e di decreti. È opera di una Chiesa che tutta insieme si lascia guidare dallo Spirito santo; è frutto di una Chiesa che sa rimanere concentrata nella contemplazione del disegno che Dio le sta facendo realizzare dentro la storia degli uomini. Per questo motivo il lavoro delle parrocchie, il lavoro dei singoli cristiani e delle comunità non è finito: invitiamo tutti a leggere con attenzione le tracce che a breve pubblicheremo sul sito del Sinodo, per continuare a discernere assieme (passando i vari suggerimenti che vi verranno a qualche componente del consiglio presbiterale o pastorale) come Milano può essere Chiesa dalle genti.
Mons. Luca Bressan
Presidente della Commissionedi coordinamento Sinodo “Chiesa dalle genti”
Vicario episcopale Arcidiocesi di MilanoOmelia Arcivescono Via Crucis 23 marzo
Via Crucis – Zona Pastorale V
Desio – 23 marzo 2018
Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi
Un centurione, per riconoscere il Figlio di Dio
1. L’evento che scuote la terra.
L’esito tragico della vicenda di Gesù è circondato di spaventi e di paure, di derisione e banalità, di dolore e di sconcerto.
Secondo il racconto di Marco, l’evento si svolge tra gli scherni dei passanti che interpretano lo strazio e la morte come il fallimento di un progetto politico: il Cristo, il re di Israele scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo. Ma Gesù non ha promosso un progetto politico, La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “Il re dei Giudei” (Mc 15,26).
I potenti che hanno trascinato le folle e l’autorità romana a decretare la condanna, secondo i racconti evangelici, sono stati i sommi sacerdoti riuniti nel sinedrio, le autorità religiose del giudaismo e interpretano la morte di Gesù come il fallimento delle sue intenzioni di riforma religiosa. Ma Gesù non ha promosso una riforma religiosa, anche se quelli che lo insultano ricordano e fraintendono le sue parole: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso, scendendo dalla croce” (Mc 15,29)
I discepoli che hanno seguito Gesù, convinti dalla sua parola, affascinati dai segni compiuti e introdotti nelle sue confidenze in una speciale amicizia sono stati travolti dalla paura, tutti lo abbandonarono e fuggirono (Mc 14,50). Ma Gesù non aveva intenzione di radunare un gruppo di amici per costruire un angolino confortante in un mondo complicato e tribolato.
Le donne che hanno servito e seguito Gesù quando era in Galilea, che si erano date da fare per un’opera buona, per assistere un uomo buono che passava facendo del bene a coloro che erano troppo provati dalla vita o troppo smarriti se ne stavano lontane a osservare la tragica inutilità del far del bene (cfr Mc 15,40). Ma Gesù non aveva intenzione di dar vita a un’opera buona per assistere i tribolati.
2. Ci voleva un centurione.
Ci voleva dunque un centurione per interpretare l’evento e la tragica morte. Il centurione, un uomo dell’istituzione spietata che governava la Giudea, il centurione, un estraneo rispetto alla istituzione religiosa giudaica, il centurione, uno straniero, in un certo senso, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!
Il senso del morire di Gesù, lo scopo della sua missione, la grazia che solo da lui può venire è quindi che si squarci il velo del tempio, che sia rivelata la verità di Dio e a tutti sia indicata la strada per entrare nella comunione con Lui. C’è un solo nome per la nostra salvezza, c’è un una sola direzione per il nostro camminare nella speranza, c’è un solo trafitto al quale tutti possano guardare per essere tutti attirati da colui che è stato innalzato.
La celebrazione della Via crucis è quindi l’occasione per ascoltare l’invito all’essenziale, la proposta di una vita cristiana che non si smarrisce nel generico, che non si accontenta di apprezzare le conseguenze, che cerca invece il cuore del mistero e di questo vive, di questo gioisce, di qui attinge l’ardore per la missione.
Il morire in croce di Gesù mette in discussione le riduzioni del cristianesimo: il cristianesimo non è un progetto politico, per quanto abbia molto da dire a tutti i politici della terra, il cristianesimo non è una organizzazione religiosa, per quanto abbia molto da dire a tutte le organizzazioni religiose, il cristianesimo non è una raccolta di buoni sentimenti, di amicizie e di commozioni, per quanto offra un richiamo costante a purificare le amicizie e i sentimenti, il cristianesimo non è una impresa di buone opere, per quanto offra molti motivi per operare il bene.
Il morire di Gesù rivela che il cristianesimo è Gesù, stare con Gesù, vivere per Gesù, guardare a Gesù, lasciarsi condurre da Gesù nella comunione con il Padre, perché davvero quest’uomo era figlio di Dio!
I figli di Dio che erano dispersi dunque sono riuniti dalla morte di Gesù, dalla Pasqua di Gesù: non basterà un progetto politico per dare volto alla Chiesa dalle genti, non basterà una riforma delle pratiche religiose, non basteranno i buoni sentimenti e i rapporti di amicizia, non basterà darsi da fare per opere buone. Tutto serve, ma tutto sarà precario se non andiamo tutti verso Gesù per vivere di Lui, davvero è il Figlio di Dio!
Il Sinodo: evento spirituale, di chiamata e di conversione personale ed ecclesiale
Siamo nel momento cruciale e più generativo del sinodo diocesano: l’apparente silenzio della macchina sinodale è la cornice che dà spazio al suono prodotto dal fitto lavoro delle tante realtà ecclesiali che in modo capillare stanno trasformando l’annuncio e il discorso (la visione di una “Chiesa dalle genti”) in realtà, in carne ed ossa. Alcuni segnali raccolti muovendomi in Diocesi proprio per osservare tutto questo lavoro – e per imparare da esso – ci rimandano alcune constatazioni che rilancio come risorsa.
Sono impressionato anzitutto dalle energie e dalla disponibilità che i territori e i diversi soggetti ecclesiali stanno manifestando. Penso sia corretto leggere questo dato come un primo “miracolo”: l’indizione del Sinodo ha consentito al corpo ecclesiale di scoprire delle energie e delle risorse che nessuno di noi pensava avessimo. Se il frutto fosse già soltanto la capacità di attivare in ogni decanato un luogo in cui leggere e interpretare i segni delle trasformazioni che stiamo vivendo come Chiesa diocesana, sarebbe sicuramente un grande risultato! Ci troviamo dentro un corpo ecclesiale che sta reagendo in modo positivo, che sta entrando nel processo sinodale vivendo come un evento spirituale, di chiamata e di conversione personale ed ecclesiale.
Ulteriore osservazione: le energie e le azioni messe in campo possono essere rilette, alla luce dell’esercizio contemplativo richiesto dal testo guida, come segni di quella dinamica di attrazione esercitata dalla croce di Cristo che tutti siamo invitati a riscoprire dentro il cambiamento culturale e sociale delle nostre terre ambrosiane. Il Sinodo si rivela veramente come l’occasione per vedere la Chiesa mentre viene generata continuamente, in ogni epoca, dallo Spirito di Dio come corpo di Cristo. La radice teologica e spirituale del nostro lavoro pastorale davvero sta emergendo con chiarezza.
Da qui un compito irrinunciabile: occorre che i decanati diventino sempre più il cuore pulsante del Sinodo. Diventando cioè un laboratorio, un luogo in cui non soltanto si raccolgono ma si interpretano i dati raccolti dalle varie parrocchie e dalle altre realtà ecclesiali e civili, favorendo così lo sviluppo di una lettura nuova, capace di riconoscere i segni dello Spirito che genera la Chiesa. Se il Sinodo minore fosse l’occasione per la nascita di simili luoghi, ci troveremmo di fronte ad un’operazione rivoluzionaria: stiamo per attivare una nuova epoca di implantatio ecclesiae, di radicamento della fede cristiana dentro la cultura e la società così profondamente in cambiamento. Stiamo cioè operando per dare corpo, realtà e carne, alla visione della Chiesa dalle genti che ci guida.
Mons. Luca Bressan
Presidente della Commissionedi coordinamento Sinodo “Chiesa dalle genti”
Vicario episcopale Arcidiocesi di Milano