Autore: basilica

  • La conversione: una questione quotidiana

    La conversione: una questione quotidiana

    Siamo in auto e ci accorgiamo che abbiamo sbagliato strada: dobbiamo fare una conversione a U. Ecco, il punto di partenza è sentire il bisogno di cambiare qualcosa nella mia vita: convertirsi oggi cosa può voler dire?

    A volte ci si accorge di essere su una strada che non porta dove vorremmo e da qui ne deriva il bisogno di convertirsi verso un qualcosa che ci
    fa stare bene. Bisogna attivare un mutamento interiore che ci conduce a cambiare stile di vita, ad abbracciare nuove conoscenze, a distinguersi agendo in maniera diversa. A mio parere , oggi bisogna leggere la conversione anche come un nuovo
    modo di percepire e di intendere, come una mente e un cuore nuovi, come una missione cristiana, come un ritorno a Lui, a Gesù. Convertirsi inteso come azione di apertura verso le persone in difficoltà, ascoltandole, valorizzandole, accompagnandole in un nuovo percorso finalizzato a migliorare il proprio stile di
    vita.

    Papa Francesco ha detto che “la conversione è una questione quotidiana” ovvero dobbiamo essere capaci di cambiare rotta ogni giorno e per tutta la vita, avendo come bussola il Vangelo…

    Sicuramente dobbiamo essere capaci di cambiare rotta ogni giorno, perché ogni giorno si presenta un problema diverso incontrando altre persone. Queste sono coloro che ci aiutano a modificare il nostro modo di essere, che ci aiutano a
    dialogare con gli altri e con Dio.

    La conversione nasce allora dall’ascolto di una parola di cui ti fidi, perché ti fidi di colui che parla. Nella nostra scuola, ad esempio,di recente c’è stata l’occasione di
    accogliere, con una bella festa, un nuovo alunno ucraino. La classe intera, alunni e insegnanti, per un breve periodo, hanno dovuto cambiare rotta per garantire al nuovo arrivato serenità e affetto.

    Anch’io sono stata coinvolta e mi sento di dire che il mio essere cristiana e il mio credo mi portano sempre ad accogliere il diverso a braccia aperte.

    Saper usare la libertà di scegliere il bene o il male, l’egoismo o l’attenzione al prossimo, gesti chiama in causa. E mentre Gesù poneuna domanda, invita ciascuno di noi a porre le domande giuste.

    Ecco perché in questa settimana vogliamo soffermarci proprio su questo: io credo? In che misura credo?

    In che modo manifesto il mio credo?

    Quanto mi lascio interrogare da Gesù, cercando le risposte corrette alle sue
    domande? Proviamo a trovare uno spazio di silenzio e di preghiera in cui provare a pensare esattamente a queste domande, chiedendo l’aiuto di trovare le risposte.
    di accoglienza o quelli di rifiuto.

    Un cammino di conversione mette al centro la responsabilità di ognuno: come realizzarlo in concreto? Sappiamo che i due pilastri del cristiano sono la preghiera e l’amore verso i fratelli. Ogni credente, attraverso un processo di cambiamento e di apertura verso il prossimo, è chiamato a mettersi in gioco su tutti gli aspetti
    del vivere. La carità ad esempio si esplica anche facendo parte di associazioni di volontariato, in cui l’operatore accoglie, ascolta e sostiene la persona in difficoltà.
    Far parte di queste associazioni mette in campo la parte più operativa della carità perché come diceva S.Paolo “la carità è tutto, fede, speranza e carità, ma di tutte la più grande è la carità”.

    Marina Ferraro Piacent

  • Consiglio Pastorale del 21 marzo

    Il 21 marzo si è tenuto il Consiglio Pastorale cittadino durante il quale
    don Gianni ha voluto ricordare Giovanni Colombo, uno dei consiglieri venuto a mancare di recente, sempre al servizio della comunità.

    È stata condivisa coi consiglieri la lettera dell’Arcivescovo nella quale
    si chiede a tutti i Consigli Pastorali e ai Consigli degli Affari Economici
    di prolungare il loro mandato fino a maggio 2024.

    All’o.d.g. anche una riflessione sul percorso de “Il Sicomoro”: nelle prossime riunioni si valuteranno in maniera più accurata l’esperienza fatta e l’eventuale nuova programmazione.

    Infine don Gianni ha riassunto quanto emerso nel precedente consiglio pastorale durante il quale i consiglieri avevano riflettuto sul rapporto tra singola parrocchia e comunità pastorale e sul senso di appartenenza di ciascuno a quest’ultima.

  • Costruire una cultura di pace

    Costruire una cultura di pace

    Siamo reduci da un anno che ha sconvolto il mondo, e che non può non averci interpellati nel profondo delle nostre prassi e delle nostre convinzioni. Il 2022 è stato un anno di guerra, capace – oltre che di seminare irreparabili lutti e violenze – di scardinare panorami geopolitici o energetici, cui eravamo assuefatti.

    Caritas Ambrosiana ha di recente promosso a Milano un convegno per celebrare in maniera non retorica il 60° anniversario della Pacem in terris, evidenziando l’attualità dei principi portanti dell’enciclica di papa Giovanni XXIII. Viviamo in un’epoca segnata da una pluralità di conflitti sfrangiati, riconducibili a logiche che Caritas è interessata anzitutto a decodificare, per aggiornare e rilanciare la cultura di pace e nonviolenza, che è patrimonio della sua storia. E che deve orientare le azioni di pace che vengono svolte in tanti luoghi di conflitto nel mondo, per provare a gettare semi di fraternità e creare condizioni di convivenza e di riconciliazione durature.

    Il nostro intento è dunque mostrare ai giovani, ma non soltanto a loro, che anche nel mondo attuale, nel quale il ricorso alle armi e agli eserciti sembra essere l’unico regolatore delle relazioni tra individui e popoli, la pace è un approdo faticoso ma possibile.

    Il pacifismo, ai tempi della “guerra mondiale a pezzi” denunciata da anni da Papa Francesco, deve aggiornare analisi e proposte, cercando di rifuggire il rischio dell’utopia velleitaria. Ma non può cessare di proclamare valori e indicare percorsi di pace.

    Nel faticoso cammino di costruzione della pace che ci troviamo di fronte, bisogna anzitutto realizzare un oggi solidale. Caritas Ambrosiana, le sue cooperative, le parrocchie della diocesi di Milano hanno accolto e aiutato in vario modo, da febbraio
    ‘22 a febbraio ‘23, oltre 1.600 profughi giunti nel nostro Paese, mentre la rete internazionale Caritas ha raggiunto quasi 4 milioni di ucraini, tra sfollati in patria e rifugiati in altri territori.

    Piegarsi su tante vittime e sulle loro ferite, fisiche e morali, non equivale a piegarsi all’ineluttabilità della violenza, ma provare a lenire dolori strazianti, destinati, se non curati, a incubare domani nuovi odi e nuove brutalità.

    Luciano Gualzetti
    Direttore Caritas Ambrosiana

  • Quaresima di fraternità

    Continua in queste settimane il “gesto di quaresima”, in ogni parrocchia si trova un raccoglitore per contribuire al progetto di Caritas Ambrosiana per aiutare le donne venezuelane costrette a migrare a causa della crisi politica e sociale.

  • L’albero della rinascita

    L’albero della rinascita

    Non dimentichiamo le vittime della pandemia

    Sabato 18 marzo, in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime
    del Covid, attorno all’Albero della Rinascita, si è tenuto un momento di preghiera con tutta la comunità desiana e a seguire la celebrazione della S. Messa, preseduta da don Alberto Barlassina, in suffragio dei defunti per il Covid.

    L’Albero della Rinascita, è dedicato alla memoria di tutti i desiani vittime del Covid, che ha mietuto molte vittime anche nella nostra città. La statua è situata nel quartiere di San Giorgio, davanti alla Chiesa di via Sant’Apollinare 4.

  • Cecità e miopia

    Cecità e miopia

    Nel vangelo di Giovanni, dopo l’incontro con il “cieco nato”, Gesù si scontra con gli avversari: «Alcuni dei farisei gli dissero: “Siamo ciechi anche noi?”. Gesù rispose loro: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”». Il vangelo parla esplicitamente del percorso di fede del cieco risanato, capace di resistere a chi né lo riconosce come tale né dà credito al gesto compiuto da Gesù. Chi sono dunque i veri ciechi?

    Possiamo trovare cecità, o almeno miopie, anche oggi, in opinioni, scelte, comportamenti, che apparirebbero corretti, sensati, moderni, ma distorcono la realtà.

    Scatenare una guerra, sostenerla (come purtroppo fanno pure alcune autorità religiose), darle vigore con parole aggressive, è certamente sintomo di cecità. Potrebbe esserlo anche enfatizzare l’uso delle armi senza ricercare una sincera via di pace, dando ragione a chi sospetta che «le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono senza uccidersi».

    Il mondo occidentale, così innamorato della propria democrazia, al punto da volerla esportare con gli eserciti, è lo stesso che vuole innalzare l’aborto a diritto, restando cieco di fronte al reale diritto alla vita, quello del nascituro. In questo caso chi fa torto a chi? e chi è l’innocente aggredito?

    Ancora: chi sono davvero gli scafisti del Mediterraneo? La manovalanza o chi li organizza restando bene al riparo di complicità nebulose? E la polemica non fa dimenticare le “persone” migranti e i motivi tragici delle loro partenze (se guardiamo i paesi di provenienza…)?

    Pure qui vale un detto: il miope «guarda il dito, ma non vede la luna».

    Le catastrofi naturali sono anche conseguenza dei cambiamenti climatici, della siccità, della devastazione della natura (Amazzonia…): come è difficile per i capi della politica e dell’economia cercare un accordo per salvaguardare il creato, che è «non eredità dei padri, ma prestito delle generazioni future».

    Anche nella Chiesa, beninteso, troviamo cecità e miopie: voler conservare solo l’esistente di parrocchie e istituzioni, senza seguire la forza dello Spirito per tentare vie nuove di annuncio del Vangelo.

    O immaginare che organizzare eventi e occupare spazi sociali basti a elevare la qualità spirituale della comunità. Laviamoci tutti alla piscina di Siloe, l’Inviato!

    don Gianni