In questi giorni, oltre ai fatti tragici che sono accaduti, mi rattrista ciò di cui non si parla.
Tutte le parole che ho ascoltato si possono riassumere in due questioni: come difendere meglio chi è in
pericolo e come affrontare, finalmente, il tema dell’educazione.
Mi pare però che la questione dell’educazione venga ridotta al rispetto. E che questo venga inteso come: il cosa non si deve fare per evitare di prevaricare la libertà dell’altro. Di comportamenti positivi non se ne parla. L’attuale cultura dominante, anche se non vuole importi nulla, ti spinge in due direzioni: devi continuare a cercare il tuo appagamento; non devi ledere la libertà degli altri.Riconoscete la schizofrenia? E lo smarrimento che essa genera in chi cresce in questa società? Notate il grande assente? È l’identificazione di uno stile buono e propositivo col quale possiamo rapportarci con gli altri, è l’amore.
Gesù, Sant’Ignazio di Loyola e Don Bosco (per citarne solo tre) ci sono testimoni che non è sufficiente
scacciare il Nemico (il diavolo) ed evitare le azioni negative per non arrivare a compiere il male.
Nel vuoto che si genera dobbiamo metterci il bene, altrimenti il male ritorna più forte di prima. Nella nostra società l’affermazione di cosa è bene e di cosa si possa fare di buono agli altri non la vuole sentire nessuno, non è economicamente conveniente, non è culturalmente accettata.
Io solo decido cosa mi rende felice: nessuno mi può dire cosa devo fare e come mi devo comportare con gli altri, tanto meno Dio o ancor peggio la Chiesa. A casa mia comando io, neanche Dio ha più diritto di parola. Non ti curare degli altri, pensa a te stesso, prevali sugli altri, pretendi quello che vuoi e quando vuoi. Non devi esercitare la pazienza. Non devi fare fatica e non devi affrontare le frustrazioni. Gli
altri se non sono al servizio del tuo ego sono da combattere. Non c’è più spazio per l’altro, né per il suo
bene. Di conseguenza non impariamo più a riconoscere l’altro come persona, a volergli bene anche quando costa, ad accettare e a elaborare le frustrazioni che nascono da un fallimento o da un “no” ricevuto.
Per fortuna, anche se siamo in una cultura che spinge all’individualismo, Dio e il nostro cuore ci dicono
che noi siamo fatti per amare ed essere amati. Continuando a rifiutare Dio rifiutiamo la verità della nostra
vita. Dio desidera la nostra felicità, ce ne indica la strada, e ci dà la forza per viverla.
L’educazione affettiva di cui parla il nostro vescovo Mario è l’educazione alla vita. Essa ci aiuta a
comprendere e a vivere la vita come vocazione: la vita è chiamata ad amare. E cosa significa amare ce lo
insegna Gesù: “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”; e ce lo insegna “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
Per imparare a vivere amando abbiamo innanzitutto bisogno di essere amati, e poi di qualcuno che
ci aiuti a capire come ridonare l’amore che abbiamo ricevuto o che avremmo avuto bisogno di ricevere.
Quello che proponiamo oggi ai più giovani è molto lontano da una educazione affettiva perché è molto
lontano da ciò che ci permette di realizzare la nostra vocazione all’amare.
L’educazione affettiva è il cammino che ci permette di riconoscere i nostri affetti, i nostri sentimenti,
le nostre pulsioni, i nostri desideri e di volgerli tutti all’amore. È un cammino che ci rende sinceri, veri e
liberi, soprattutto da noi stessi, per diventare capaci di amare in ogni nostra relazione nella verità e nella
libertà.
don Pietro