A Capodanno si sparano i botti, più o meno legali, rumorosi e spettacolari, pare come retaggio di un’antica credenza: allontanare così i demoni e propiziare un nuovo anno migliore del precedente.
Nelle comunità cristiane la sera di San Silvestro si canta il Te Deum e non manca chi si domanda: «Ma… per cosa dobbiamo ringraziare?», come se l’anno che finisce possa essere ricordato solo sotto il segno delle ombre e delle tenebre, da scacciare come i demoni, con l’illusione che un cambio di calendario possa magicamente portare benessere, tranquillità e salute.
La domanda però non è vana: «Per cosa ringraziare?» e anche «Come guardare al
tempo nuovo che ci è dato?». La condizione per poter rispondere è saper recuperare il silenzio o, come l’ha definito il card. Ravasi, la “dieta dell’anima dalla chiacchiera, dal rumore, dal futile”.
Il silenzio permette di affrontare la domanda – per cosa ringraziare? come guardare al nuovo anno? – in maniera non superficiale. Non si tratta solo di ricordare eventi, emozioni, incontri, ma di chiedersi come la nostra persona ne è stata arricchita o impoverita, specialmente nei suoi tratti più profondi, segreti, interiori, oltre che nelle scelte e nei comportamenti.
Questo è un silenzio abitato dagli occhi della fede, dal pensiero dello Spirito, dalla consapevolezza di ricevere e restituire amore verso Dio e il prossimo.
Un esercizio che può essere ripetuto – quando, dove e come si vuole – per prendere in mano il tempo che ci è dato.