«Oh, no! Di già la pubblicità di Natale!»: verso la fine di ottobre ho reagito così di fronte a uno spot televisivo. Mi aspettavo perciò un’ondata di altri fastidiosi intermezzi pubblicitari natalizi in tv o su internet: niente di tutto questo; arriveranno più avanti, forse.
Sì: vale la pena festeggiare il Natale? Con una pandemia non ancora vinta, una guerra crudele e assurda in corso (non dimentichiamola!), la crisi che svuota le nostre tasche e non riscalda le nostre case (anche le chiese…)?
Già negli scorsi anni mi è capitato di incontrare persone che, reduci da un lutto recente, comprensibilmente si affrettavano a precisare «per noi quest’anno non è Natale!».
Vale allora la pena iniziare il tempo di Avvento, preparare qualche segno festivo, pensare al presepio e all’albero? Varrà la pena programmare la confessione e la partecipazione alla Messa di mezzanotte?
Avvento: sei settimane per recuperare in profondità quel nome – Natale – che significa nascita e che automaticamente richiama Colui che nasce. Da Lui prendono autenticità tutti gli altri messaggi, anche quelli un po’ retorici, sulla pace, sulla bontà, sull’attenzione ai poveri, persino sulla spiritualità.
La pubblicità faccia il suo corso: in qualche caso ci azzecca pure a dare un messaggio simpatico e pieno di speranza.
Ma anche noi cristiani facciamo il nostro corso: con il Vangelo davanti agli occhi, un po’ di silenzio per pregare, e lo sguardo benevolo verso coloro che il mondo vorrebbe scartare.
don Gianni
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