Nei giorni scorsi molti hanno ricordato i dieci anni dalla morte del card. Carlo Maria
Martini, (Gallarate, 31 agosto 2012). Martini era stato Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002.
I più giovani, anche tra i preti, possono leggerne gli scritti o guardare qualche video, ma è difficile possano cogliere il clima del suo arrivo a Milano nel 1980: città e regione lottavano con proverbiale operosità per contrastare un terrorismo crudele che più volte le aveva ferite gravemente e che tuttora era una minaccia; una Chiesa molto organizzata, solida, ma anche poco calorosa, talvolta apparentemente immobile.
Ci si aspettava da lui un governo pastorale fatto di decisioni, cambiamenti, iniziative, ma cominciò entrando in città con il Vangelo in mano, commentandone alcuni passi.
Ci si aspettava una prima lettera pastorale programmatica, capace di dare una sveglia e rilanciare comunità con rinnovato impegno. Ma il suo primo testo si intitolò La dimensione contemplativa della vita: un richiamo a ciò che è più profondo nel cuore umano, là dove Dio stesso abita e parla, incoraggia e perdona, aprendo al valore infinito della persona e della sua libertà. Un osservatore afferma che Martini così spiazzava non solo i parroci e i buoni cattolici, abituati a una Chiesa delle opere, ma gli stessi esponenti laici, all’epoca chiusi nelle loro ideologie marxiste o liberali, e che pure avevano perso il senso della freschezza, della libertà.
In una immagine sintetica Martini definisce così l’essere umano: «aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull’Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto, che soltanto in una incondizionata dedizione all’imprevedibile piano di Dio trova le condizioni per realizzare la propria autenticità».
E nell’invito a cercare in una Parola più profonda – quella di Dio – la propria verità, cita un prete poeta: «“La Parola zittì chiacchiere mie”: così Clemente Rebora, nobile spirito di poeta milanese dei nostri tempi, descrive con rude chiarezza gli inizi della sua conversione».
Dopo quarant’anni sono diversi gli stili di vita, le paure, i modi di comunicare, ma non l’inquietudine dell’uomo in ricerca, che risiede nel cuore di ognuno. Già lo scriveva S. Agostino: cor nostrum inquietum, donec requiescat in te (il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te).
don Gianni