In occasione del mese dedicato alle Missioni abbiamo chiesto a Padre Franco Benigni, rettore dei Missionari Saveriani di Desio, di spiegarci che significato ha oggi “fare ed essere missione nel mondo”.
Il fenomeno attuale della globalizzazione ha portato alla ribalta non solo delle cronache ma anche della nostra vita di tutti i giorni, l’esistenza e l’importanza di altre culture e di altre religioni, cosicché questo non è più un fatto nuovo per nessuno. Tuttavia i missionari da sempre si sono trovati a confrontarsi con questi “altri”. Infatti, in questi ultimi cinquant’anni circa, in questa nuova temperie culturale, essi hanno dovuto ripensare la missione alla luce delle mutate situazioni storiche e delle nuove indicazioni della Chiesa, soprattutto del Concilio Vaticano II e dei pronunciamenti degli ultimi papi.
Attualmente nel mondo, i tre grandi settori dove i missionari in generale, e in particolare i saveriani operano sono: il dialogo con le religioni, la promozione umana come esercizio della carità, (per es. costruendo scuole, ospedali…) e l’inculturazione del vangelo, come cioè tradurre il messaggio di Cristo nelle categorie di pensiero e nel contesto sociale vivo delle altre culture.
I missionari saveriani, svolgono la loro opera anche in Messico, dal 1951.
Un settore dell’attività dei saveriani in Messico è costituito dalle scuole, a vario livello. È importante questa azione missionaria nel campo scolastico: infatti ci sono zone in Messico dove la scristianizzazione provocata dalle conseguenze della rivoluzione del 1910 e poi dalla persecuzione del 1927-1929 ha allontanato completamente la gente dalla chiesa. Uno dei modi di avvicinarsi è appunto la scuola. Infatti, in molti casi la gente ci ascolta non tanto perché siamo sacerdoti ma perché siamo insegnanti.
A me appunto è toccato, da quando sono stato inviato in Messico nel ’93, questo settore dell’evangelizzazione, e cioè la promozione umana attraverso la scuola.
La prima città dove ho svolto la mia missione è stata Salamanca, (oggi 300.000 ab. circa), fondata dopo la pace con gli indios Chichimecas nel 1602, con il beneplacito del re di Spagna Felipe III; del periodo coloniale restano la chiesa di Sant’Agostino, a cassettoni ricoperti di polvere d’oro, del Settecento, ed un magnifico chiostro degli Agostiniani in stile “herreriano” e barocco; inoltre l’incantevole chiesa di san Bartolomeo apostolo in stile “churrigueresco”, con il bassorilievo sul portone che ricorda lo storico accordo di pace stipulato tra i bellicosi indios Otomies, della famiglia Chichimeca, e gli Spagnoli. Sono stato poi nel pueblo di Arandas (100.000 ab. circa) fondata nel 1544 sulle terre degli indios Caxcanes e Tecuexes; qui i coloni e gli indios vissero in guerra permanente fino alla metà del Settecento; questa è la terra del tequila che, come tutti sanno, è il liquore tipico messicano, prodotto dalla fermentazione del frutto dell’agave. Ci vogliono ben otto anni perché l’agave sia pronto per la produzione del liquore! Negli ultimi anni la produzione del tequila ha portato un maggior benessere. Inoltre le terre Alte di Jalisco, dove sorge Arandas, sono praterie ricche di bestiame e di cavalli. Qui iniziò la rivolta dei Cristiani (Cristeros) contro il governo anticattolico del presidente Plutarco Elias Calles, il giorno di Santo Stefano del 1926. Ho poi trascorso gli ultimi dieci anni nella città dell’eterna primavera, a Guadalajara (zona urbana di 5 milioni di ab. circa), capitale dello stato di Jalisco, fondata nel 1542, con rescritto del re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Carlo V. Gli abitanti sono molto industriosi, un po’ come i Brianzoli; dico un po’, perché ogni popolo è diverso dagli altri. Guadalajara è la capitale industriale dell’occidente del Messico. Nella sua regione si allevano animali da carne, come bovini e maiali, ma anche cavalli da sella; inoltre si coltiva il mais, l’avocado, le fragole e i cactus per uso alimentare.
Il Messico è un grande paese, con grandi possibilità, ma che ora deve affrontare il problema del narcotraffico.
Ovunque io sono stato, e per il lungo periodo che ho trascorso fuori dall’Italia, mi sono sentito sempre a mio agio. In effetti, se posso permettermi una battuta, la vita è un po’ come una partita di calcio, dove per vincere ci vogliono bravura e fortuna. Per noi cristiani la bravura consiste nel fare quello che dice il Vangelo e, in quanto alla fortuna, essa si chiama Provvidenza.
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