Con riferimento ai tempi nuovi che stiamo attraversando, l’Arcivescovo auspica reciprocità e coralità nei comportamenti e nello stile, che dovranno caratterizzare anche le Assemblee sinodali decanali
Di Pino Nardi
Nella Proposta pastorale innanzitutto l’Arcivescovo indica una Chiesa unita. La vocazione alla comunione è riproposta durante i tempi dell’anno liturgico. «Coloro che prendono parte alle celebrazioni della comunità cristiana sono chiamati a verificare quali frutti ne vengano per la loro vita personale e comunitaria: possiamo celebrare il mistero che ci dona la grazia di partecipare alla comunione trinitaria ed essere divisi, scontenti gli uni degli altri, invidiosi, risentiti?», chiede monsignor Delpini.
Sottolinea anche i tempi nuovi che interrogano la Chiesa indicando il cammino che la Diocesi ha condotto nel recente Sinodo minore, «La Chiesa dalle genti non è solo il mistero nascosto alle precedenti generazioni (cfr. Ef 3,5), ma è la grazia e l’impegno di questo nostro tempo, di questa nostra terra per offrire un aiuto a tutti gli uomini a credere e a sperare. La vocazione dell’umanità alla fraternità universale, come insegna l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, chiede la risposta illuminata e lungimirante di tutte le comunità della nostra diocesi».
La reciprocità nella comunione
«L’amore che si dona gratuitamente senza considerare risultati e risposte è una delle forme più alte di dedizione. Per certe sensibilità questo amore gratuito è la manifestazione dell’amore di Dio stesso, di cui la creatura è resa capace per grazia», scrive l’Arcivescovo.
Parlando anche di reciprocità nel rapporto uomo-donna. «La reciprocità come forma matura dell’amore è la vocazione di ogni uomo e di ogni donna. La differenza di genere è la differenza originaria che permette di praticare nella forma più alta e promettente la relazione comandata dal comandamento nuovo: gli uni gli altri. Il tema della relazione tra uomo e donna, tra uomini e donne nella Chiesa, tra uomini e donne nella società è un tema di inesauribile profondità e di drammatica attualità. È doveroso che con il contributo di tutti, con la saggezza dell’esperienza, con la molteplicità delle competenze sia affrontato nelle nostre comunità, come proposta educativa, come dinamica familiare, come aiuto all’interpretazione dei ruoli degli uomini e delle donne nella Chiesa e nella società».
La coralità della comunione
«La reciprocità come forma matura dell’amore è l’esperienza di ogni vera amicizia -continua l’Arcivescovo-. I discepoli di Gesù, che hanno sperimentato l’amicizia con lui, sono chiamati a vivere e a testimoniare la grazia, la responsabilità, la coltivazione di rapporti come contesti propizi per portare a compimento la vocazione alla santità. Molti testi della Scrittura descrivono le virtù necessarie, lo stile che deve essere abituale tra le persone nella comunità cristiana. Il rimando all’“inno alla carità” di Paolo (cfr 1Cor 13,4-7) può essere molto significativo».
Uno stile che va sempre più curato e affinato anche nella vita della Chiesa. «Tutti i talenti, tutte le qualità delle persone, tutte le esperienze di aggregazione di laici e di consacrati si possono chiamare carismi o vocazioni nella misura in cui edificano la comunione con il tratto della coralità, che comporta la stima vicendevole, la disponibilità a collaborare nel costruire percorsi e a dare vita a iniziative per il bene di tutti. In questa coralità di vocazioni il riferimento alla Diocesi, in comunione con tutta la Chiesa, è un criterio di autenticità».
L’Assemblea Sinodale Decanale
Amicizia, carità, stima reciproca, comunione si traducono anche attraverso una articolazione della comunità cristiana. «L’organizzazione parrocchiale è provvidenziale e insuperabile (…) Non è però tutta la Chiesa, non è una struttura che rinchiude lo Spirito nei calendari, nell’esercizio del potere della comunità parrocchiale. La Diocesi non è un insieme di parrocchie, piuttosto l’unica Chiesa che si rende presente nel territorio nelle comunità pastorali e nelle parrocchie(…)
La proposta di immaginare l’Assemblea Sinodale Decanale esprime l’intenzione di configurare un organismo più proporzionato al compito di interpretare il territorio e di descrivere e motivare forme di presenza dei cristiani nella vita quotidiana, familiare, professionale, sanitaria, culturale, amministrativa».
La sinodalità sarà al centro del cammino ecclesiale di questi anni a livello mondiale, nazionale e diocesano. Per questo l’Arcivescovo precisa che «si deve intendere per Assemblea Sinodale Decanale lo strumento che la Diocesi di Milano si darà per lo stile di presenza della Chiesa nel nostro territorio».
Amore fraterno e lamento
«L’amore fraterno comporta una specie di gara nello stimarsi a vicenda, il riconoscimento del bene che l’altro rappresenta per me, la riconoscenza per essere un cuore solo e un’anima sola nella comunione dei santi. Come posso essere amareggiato e risentito verso il fratello?».
L’amarezza dell’Arcivescovo per il grande dono ricevuto e per la difficoltà di viverlo. «Nella comunità cristiana gli argomenti per essere scontenti gli uni degli altri hanno una radice ambigua e invito tutti a decifrare questa sorgente inquinata delle parole, dei pensieri, dei giudizi. Per me è incomprensibile che il risentimento, l’amarezza, le ferite siano, per così dire, una buona ragione per lamentarsi dei fratelli e delle sorelle della propria comunità, dei preti, del Vescovo e del Papa. Piuttosto si dovrebbe riconoscere un desiderio ardente di correggere e di correggersi, di dedicarsi a un’intensa preghiera di intercessione, di praticare la correzione fraterna e il perdono benevolo».